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VIBO VALENTIA – I clan del vibonese avevano progettato l’uccisione di alcuni magistrati, specificatamente il pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia Marisa Manzini e il giudice Giancarlo Bianchi, ex presidente della sezione penale di Vibo, per la loro azione incisiva contro il clan Mancuso. A riferirlo stamani al processo “Purgatorio” che vede imputati, con le accuse a vario titolo di associazione mafiosa e concorso esterno nella stessa, gli ex funzionari della Squadra Mobile di Vibo, Maurizio Lento e Emanuele Rodonò, e l’avvocato del Foro di Vibo, Antonio Carmelo Galati, è stato proprio Maurizio Lento nel corso dell’esame condotto dal pubblico ministero della Dda Camillo Falvo. L’imputato, assistito dall’avvocato Maurizio Nucci, ha fatto riferimento nella pubblica udienza ad un’attività investigativa «particolarmente intensa che riguardava Salvatore Bonavota (esponente dell’omonimo clan di Sant’Onofrio) più altre persone».

L’inchiesta aveva fatto emergere la circostanza dell’attentato in quanto «l’ispettore Esposito dopo aver eseguito operazioni zona di Filadelfia contro gli Anello, aveva ricevuto una notizia da una di fonte confidenziale, ritenuta altamente attendibile, sul fatto che la famiglia Bonavota d’intesa con Francesco Mallamace, per interesse con altri soggetti della criminalità di Catanzaro e Crotone implicati in traffico di armi, avessero in mente commettere un attentato ai danni del pm Marisa Manzini e del giudice Giancarlo Bianchi (colui il quale pronunciò la prima storica condanna contro il clan Mancuso, ndr) per la loro attività incisiva contro la famiglia di Limbadi».

Era il luglio del 2008. Da lì, furono avviate «tre attività investigative contro Domenico Bonavota, Francesco Fortuna e Francesco Patania. Sempre quell’anno fu avviata un’altra attività d’indagine, subito dopo l’operazione “Caorsa” che portò all’arresto di Domenico Mancuso, figlio del boss Francesco, alias “Tabacco” e nel corso della cui perquisizione furono raccolti elementi tesi a suffragare l’ipotesi di attentato verso la Manzini. Il tutto venne trasmesso all’autorità giudiziaria di Salerno che ascoltò sia me che Rattà», dirigente della Squadra Mobile di Catanzaro.

Lento ha poi riferito che da quell’inchiesta «non emersero contatti diretti tra Bonavota e Mancuso anche perché sarebbero dovuti avvenire attraverso Francesco Mallamace il cui segretario d’azienda era Giuseppe Fortuna, fratello di Francesco, arrestato con la presenza di kalashnikov e lampeggianti. Il dato di partenza per noi (della Squadra Mobile, ndr) era l’operazione “Uova del drago” del 2007 dove la Manzini spiegò che quella dei Bonavota veniva inserita, nel provvedimento di fermo, come cosca collegata ai Mancuso. A ciò si aggiunsero le dichiarazioni dei collaboratori che indicavano criticità di rapporti per questioni futili, mentre per quelle serie non erano state riscontrate».

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