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Patrizia Pasquin

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VIBO VALENTIA – Sigilli rimossi, il Melograno Village viene restituito agli aventi diritto. Sono gli agenti della Squadra mobile, gli stessi che nel novembre del 2006 effettuarono il sequestro nell’ambito della maxioperazione “Dinasty 2 – Do ut des”, ad aver eseguito, ieri mattina, l’ordine della Corte d’Appello di Salerno. Una conseguenza, questa, della sentenza di secondo grado al filone principale del processo che, in attesa del pronunciamento della Corte di Cassazione, ha visto alla sbarra l’ex presidente della Sezione civile del Tribunale di Vibo Valentia Patrizia Pasquin, condannata per tre imputazioni (due episodi di corruzione in atti giudiziari e una di falso) sulle venticinque formulate nel contesto del lungo procedimento che a sette anni dal blitz della polizia ancora attende un pronunciamento definitivo. 

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Tra le contestazioni per le quali Patrizia Pasquin in appello è stata assolta, quelle collegate, appunto, alla costruzione del villaggio turistico di Parghelia, attorno al quale si è sviluppato uno dei filoni investigativi più importanti che hanno caratterizzato l’indagine “Dinasty 2 – Do ut des” e che hanno condotto, quindi, alla formulazione di capi di reato per i quali, in primo grado, l’ex toga era stata invece riconosciuta colpevole. Patrizia Pasquin, secondo l’impostazione accusatoria, sarebbe stata «socia occulta» del figlio Alessandro Tassone (estraneo al procedimento) e dell’imprenditrice Settimia Castagna (condannata in primo grado ed assolta in appello). Un’iniziativa imprenditoriale che nacque a seguito della pubblicazione, nel maggio del 2002, di un bando regionale per l’utilizzo di fondi Por. La società “Melograno Village” presentò un progetto e fu ammessa ad un finanziamento conseguendone una prima tranche per l’importo di 720.873 euro. 

Le intercettazioni della Squadra mobile di Vibo ed una consulenza tecnico-urbanistica, però, fece venire a galla tutta una serie di circostanze anomale con presunti artifici adottati per ingannare la Regione e conseguire il finanziamento richiesto. Pertanto fu formulata una contestazione di truffa – realizzata attraverso i cosiddetti «reati di “mezzo”», tra ipotesi di falso in atto pubblico, corruzione e abuso d’ufficio, utili al «conseguimento del vantaggio fraudolento nei confronti dell’ente regionale» – commessa ad opera di una presunta associazione per delinquere della quale avrebbe fatto parte l’ex presidente di Sezione al Tribunale di Vibo. All’esito del processo di secondo grado, che sulle vicende relative alla costruzione dell’insediamento turistico ha quasi del tutto ribaltato la sentenza di primo grado, la corte salernitana ha riconosciuto che «vi è stata in realtà – si legge nella sentenza depositata lo scorso 10 ottobre – un’unica condotta criminosa, costituita dalla falsificazione della data del permesso a costruire». 

Ciò sarebbe avvenuto attraverso «un semplice concorso di persone nei reati, come dimostra il fatto – è scritto ancora nelle motivazioni – che la loro commissione non costituiva l’attuazione di un “programma delittuoso” originario, ma è stata decisa per far fronte ad un’esigenza contingente, ossia al fatto che il permesso dì costruire era stato rilasciato in ritardo rispetto alla scadenza dei sei mesi dall’ammissione del finanziamento, il che avrebbe esposto la società al rischio di vedersi revocato il contributo». Insomma, per i giudici d’appello solo un falso e nessun altro reato. Falso, risalente al 5 agosto del 2004, estinto per intervenuta prescrizione del reato. Assoluzioni, quindi, e restituzione del Melograno Village agli aventi diritto.

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