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Il tribunale di Vibo Valentia

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VIBO VALENTIA – Cinque tutte d’un colpo. Una sentenza, quella del Tribunale di Vibo, che rappresenta una mazzata per una parte del tessuto produttivo della provincia sotto l’aspetto occupazionale, in una fase in cui la pandemia ha sfibrato anche il sistema locale.

Il 15 ottobre scorso, infatti, con sentenza nr 12/2021, l’apposita sezione del Tribunale ha dichiarato il fallimento per estensione di cinque realtà aziendali che danno lavoro ad oltre un centinaio di persone. Si tratta della Cof Spa, primaria società specializzata nel confezionamento di di frutta e verdura i cui prodotti erano destinati alle mense scolastiche di mezza Italia, la Bef Srl (che opera nel medesimo settore), la “Vittoria Trasporti Srl”, la “Ortomania Srl” e la “Sapori Mediterranei Srl”.

Attualmente la forza lavoro non verrà dispersa in quanto le attività non sono cessate, ma adesso subentrerà la curatela fallimentare che dovrà vedere il da farsi anche sotto l’aspetto occupazionale.

Tuttavia, i legali di fiducia delle aziende site nella zona industriale di Portosalvo, eccezion fatta per la “Vittoria trasporti”, sono orientati a presentare ricorso presso la Corte d’Appello di Catanzaro contro il verdetto del Tribunale presieduto dal giudice Passerelli (Buggé e Sannino relatori). A portare avanti le istanze dei titolari delle attività produttive sono gli avvocati Domenico Francica per “Vittoria Trasporti”,  Agostino Caridà per la “B.E.F.” e Domenico Barbalace per le restanti.

La crisi pandemica prima e quella economica dopo ha fiaccato queste realtà produttive che vanno ad aggiungersi alle numerose che hanno chiuso i battenti nel corso del tempo, trasformando la zona industriale di Portosalvo, un tempo fiorente e assoluta protagonista del miracolo economico, in un cimitero di capannoni abbandonati e dismessi dove un tempo era presente una delle maggiori attrazioni del territorio: il polo fieristico, ormai abbandonato. Poche le aziende che resistono.

È un momento difficile per Vibo, per le sue frazioni, per l’intera provincia. Come un’emorragia copiosa ed inarrestabile, le aziende chiudono i battenti, i posti di lavoro svaniscono e le speranze di un intero territorio si sgretolano sotto il peso di sentenze, di debiti, di bilanci in rosso. Il Vibonese sta vivendo da anni uno dei momenti peggiori della sua vita industriale. Il fallimento della Marenostro, o quello della Gam Oil e Gas che sotto il nuovo nome Amd ha ripreso la produzione, sono solo due dei simboli di un tessuto economico fragile, sfibratosi negli anni con la chiusura degli stabilimenti o col loro netto ridimensionamento.

E l’elenco è lungo. Un triste bollettino nel quale spiccano i nomi di Ofin, Italcementi e Sud Mineraria. E ancora, Nostromo, Cgr e Saima, Pandolfini Saca, Astra di Piacenza, Siton, Omisud, Oma, Palisud, Feltrinelli, segherie Tripodi e Timpano, Liquigas, Migas, Sud Mineraria, Fiammagas, Giunta Energy, Romim, Covengas, manufatti Zaccaria, Pastificio Gargiulo, secondo in Italia per produzione e qualità, Sovrana Plastic e Iclea e tante altre ancora. Non se la passavano certo meglio il Nuovo Pignone, che però oggi è completamente rifiorito sotto il nome “Baker Hughes”, e la Snamprogetti (oggi Saipem), ed Eni, ancora in attività. In tutto questo, il Consorzio industriale (oggi Corap), ha resistito con grande difficoltà.

Non c’è riuscito invece, l’Italcementi, che dopo anni ha lasciato lo stabilimento di Vibo Marina, ormai all’abbandono. Uno sterminio di aziende e di posti di lavoro che ha allargato un cimitero industriale che lascia dietro di sé fame, desolazione e veri e propri ruderi.  Uno sviluppo ed un patrimonio di ricchezze, anche e soprattutto lavorative, perduto per sempre dove di industriale resta solo la dicitura nell’immaginario collettivo.

Come fare per risollevare il comparto vibonese? C’è chi pensa che sia arrivato il momento di cambiare rotta effettuando una riconversione delle aree desolate, oppure chi invita la politica e le istituzioni a fare di più. Molto di più. Chi, invece, ritiene di puntare tutto sul turismo e chi, infine, ci crede ancora, anche se servono politiche economiche ben precise.

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