La guardia di finanza davanti al 501 Hotel di Vibo Valentia
2 minuti per la letturaVIBO VALENTIA – La Guardia di Finanza di Vibo Valentia ha notificato un avviso di conclusione delle indagini preliminari emesso dalla locale Procura della Repubblica nei confronti di 10 persone indagate, a vario titolo, per reati di bancarotta fraudolenta. La vicenda riguarda il fallimento di quattro società: “501 Hotel S.p.A”, “501 Hotel Gestione S.r.l.”, “Phoenices General Trade S.r.l.”, “Onda Verde Mare S.r.l.”, tutte facenti capo alla nota famiglia di imprenditori vibonesi Mancini.
Le indagini hanno preso in esame le procedure che nel corso degli anni si sono concluse con la dichiarazione di fallimento delle società che avevano gestito importanti strutture ricettive della provincia vibonese (Hotel 501 di Vibo Valentia, Lido degli Aranci di Vibo Valentia, Acquapark di Zambrone).
Gli approfondimenti informativi ed investigativi avrebbero permesso di ricostruire una serie di operazioni societarie e finanziarie che hanno cagionato il dissesto delle società, mediante il drenaggio e la distrazione di ingenti risorse per un ammontare di 14.903.050 euro e la conseguente creazione di una massa fallimentare per un importo di 55.759.730 euro.
Secondo quanto sarebbe emerso dall’ indagine, le condotte illecite commesse avevano avuto un unico filo conduttore individuabile nella gestione finalizzata al depauperamento delle risorse economiche, da parte dei cugini Giovanni Giuseppe Mancini e Saverio Mancini, deceduti, che possono essere considerati gli imprenditori di “prima generazione” del gruppo societario e successivamente dai rispettivi figli, i quali, con gli altri amministratori, approfittando dell’omesso controllo da parte degli organi sociali preposti, avrebbero condotto al fallimento delle società.
Gli imprenditori indagati, che hanno spesso ricoperto ruoli all’interno delle società, in situazioni di conflitto di interessi, avrebbero sottratto e drenato ingenti disponibilità finanziarie dalle società, in seguito fallite, cagionandone il dissesto, mediante una serie di operazioni dolose quali, ad esempio: la mancata registrazione di corrispettivi relativi ad eventi e ricevimenti, che venivano pagati in nero, che non confluivano nelle casse sociali; ricorrenti prelevamenti in contanti dai conti correnti delle società privi di giustificazione; l’arbitraria distribuzione di utili ai soci in contrasto con le delibere assembleari.
Le indagini della Guardia di Finanza, dirette dal Procuratore della Repubblica Camillo Falvo e dal sostituto procuratore Concettina Iannazzo, avrebbero permesso di dimostrare un “costante prosciugamento” delle risorse societarie mediante contratti di affitto di ramo di azienda a canoni non congrui o altri contratti anomali, stipulati esclusivamente al fine di documentare “cartolarmente” l’effettuazione di servizi che in realtà non venivano prestati.
Parallelamente a queste operazioni, le scritture contabili delle società sarebbero state tenute con modalità tali da non rendere possibile o comunque ostacolare la corretta ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.
È stata anche accertata una responsabilità dei componenti del collegio sindacale, i quali avevano l’obbligo, di fatto disatteso, di vigilare affinché non si verificasse la cattiva gestione la distrazione di risorse economiche da parte degli amministratori.
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