Francesco Vinci con la moglie Rosaria Scarpulla
1 minuto per la letturaLIMBADI (VIBO VALENTIA) – “Mi hanno ammazzato il mio povero figlio. Mai mi sarei aspettato una cosa del genere, mai”. Non si dà pace Francesco Vinci, da poco informato della morte del figlio Matteo, il 43enne biologo limbadese ucciso con un’autobomba il 9 di aprile scorso (LEGGI LA NOTIZIA). A seguito dell’attentato l’uomo ha riportato gravissime ustioni, per le quali è stato ricoverato nell’ospedale di Palermo.
SCOPRI TUTTI I CONTENUTI SULL’OMICIDIO DI MATTEO VINCI
E’ tornato martedì sera a mezzanotte e mezza, con un’ambulanza messa a disposizione da Libera, il cui referente regionale, Don Ennio Stamile, è stato con il signor Francesco sino alla mattinata inoltrata, in presenza anche dell’avvocato della famiglia Vinci, il determinato Giuseppe De Pace. Il legale aveva redarguito duramente per la ritenuta assenza nella vicenda l’associazione antimafia, difesasi con le parole ma anche coi fatti, non negando sostegno fattivo e supporto morale ai genitori della povera vittima della furia ‘ndranghetista.
Il signor Vinci ha saputo poco dopo il suo arrivo della morte del figlio, della quale era ignaro. Ha ricevuto la notizia dalla moglie, Rosaria Scarpulla, donna coraggiosissima che non ha esitato a denunciare i ritenuti colpevoli della morte del figlio, ovvero i vicini Di Grillo-Mancuso, arrestati appena ieri dai carabinieri sulla base di intercettazioni disposte dalla DDA di Catanzaro, diretta dal solerte magistrato Nicola Gratteri.
“Ha pianto tutta la notte – ha affermato la signora Scarpulla – ma non poteva più rimanere a Palermo”. Sì, perché il signor Francesco era diventato comprensibilmente insofferente ad un ambiente chiuso, asettico, in una situazione surreale. Con gli occhi rossi, visibilmente dimagrito, dovrà ora cercare di farsi una ragione della perdita di Matteo, forse consolato da una ritrovata fiducia nella giustizia.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA