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La corte d’Appello ha confermato la sentenza di primo grado rivedendo alcune pene nei confronti dei presunti esponenti del clan Tripodi attivo nel vibonese
VIBO VALENTIA – La Corte d’Appello di Catanzaro ha condannato i presunti esponenti del clan Tripodi di Vibo Marina-Portosalvo per associazione mafiosa, intestazione fittizia di società, usura, estorsioni, tutte aggravate dalle modalità mafiose. Pene più pesanti per due degli sette imputati rispetto al primo grado: si stratta di Antonio Mario Tripodi, condannato a 7 anni e 6 mesi (7 anni in primo grado) e Sante Mario Tripodi, che ha avuto 6 anni e 8 mesi (4 anni e 8 mesi). Confermate invece i verdetti di primo grado: Salvatore Vita (9 anni), Nicola Tripodi (8 anni), ritenuto il vertice del sodalizio criminale, Gregorio De Luca (2 anni e 8 mesi) e Massimo Murano (3 anni). Sempre i giudici hanno annullato l’assoluzione a carico di Francesco Lo Bianco emettendo una condanna a 2 anni e 8 mesi di reclusione nei suoi confronti.
L’operazione “Lybra” fu coordinata dal pm della Dda di Catanzaro Pierpaolo Bruni e nel luglio del 2013 portò all’arresto di oltre 20 persone e, in una seconda tranche, al sequestro di di beni per circa 50 milioni di euro. . L’indagine rivelò all’epoca l’esistenza di una mafia imprenditrice che, secondo gli inquirenti, avrebbe esteso i suoi affari anche a Roma e in Lombardia e tra gli appalti gestiti da aziende riconducibili alla cosca figurano anche i lavori eseguiti a Vibo Marina dopo l’alluvione del 2006. Il collegio dei difensori era costituito dagli avvocati Franco Muzzopappa Anselmo Torchia, Giuseppe Bagnato, Rosa Giorno, Domenico Anania e Guido Contestabile. Parti civili, il Comune di Vibo (rappresentato dal’avvocato Rosario Rocchetto), la Provincia di Vibo, l’Alilacco Srl, Vincenzo Restuccia (avv. Giovanni Vecchio), Nucleo industriale e Franco Famigliuolo, vittima di usura.
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