Andrea Beretta
3 minuti per la letturaIl pentito Andrea Beretta risponde ai pm sull’omicidio dell’ultrà dell’Inter Vittorio Boiocchi spiegando il perché della scelta del sorianese Simoncini per compiere il delitto
VIBO VALENTIA – «Allora, per quanto riguarda l’omicidio Boiocchi, non c’entra niente Antonio Bellocco e la famiglia Bellocco, siamo stati noi a organizzare tutto. Praticamente quando è uscito Vittorio dalla carcerazione per tentata rapina a Milano, frequentava assiduamente il bar di Renato in zona Baggio e l’ho visto cambiato. Ero andato a parlargli per il discorso che erano venuti a minacciarmi al centro sportivo durante il lavoro e avevo detto che secondo me dietro questa cosa c’erano gli Hammerskin, un gruppo che fa parte di Curva Nord. Lui sembrava non badare tanto a questa cosa qua, come a fregarsene».
Andrea Beretta, collaboratore di giustizia, ex capo della Curva nord dell’Inter parla ai pm della Dda di Milano dei motivi che l’anno condotto ad eliminare quello che fino a poco tempo prima era stato il suo capo, vale a dire Vittorio Boiocchi: troppo forte la paura di essere estromesso dal business del merchandising interista di San Siro che fruttava migliaia di euro. Frizioni tra i due sfociate nel delitto del 29 ottobre 2022 commesso nell’androne di ingresso del palazzo in cui viveva la vittima. Delitto pagato 50mila euro, secondo lo stesso Beretta, divisi tra i presunti killer, Daniel D’Alessandro e il sorianese Pietro Antonio Simonicini. E questo fa consolidare quel filo rosso che lega il paese delle Preserre vibonesi con il malaffare che ruota attorno ad una certa parte del tifo organizzato interista e soprattutto alla ’ndrangheta che, con Antonio Bellocco, voleva gestire tutto.
Il rampollo del potente casato di Rosarno però verrà ucciso il 4 settembre del 2024 proprio da Beretta che gli sferrerà ben 20 fendenti di coltello. Solo la strada della collaborazione della giustizia gli consentirà di evitare la condanna a morte che pende sulla sua testa. E così, l’ex capo degli ultras inizia a parlare tirando in ballo personaggi mischiati tra tifo e ’ndrangheta. Ma tra le pagine di alcuni verbali iniziano a filtrare nomi di persone residenti a Soriano con presunti rapporti con Antonio Bellocco. Ma non è tutto. Il paese montano del Vibonese diventa investigativamente interessante perché Marco Ferdico, ex socio di Beretta, prima di tradirlo per passare con Bellocco, trascorrerà lì un determinato periodo, giocando anche nella locale squadra calcistica. È qui che si fidanza con la ragazza il cui padre, Pietro Antonio Simoncini, sarà scelto da Beretta e Ferdico per uccidere Vittorio Boiocchi.
È sempre Andrea Beretta a spiegare ai pm i motivi della scelta del 42enne con qualche precedente di polizia ma ritenuto vicino al clan Emanuele. Lui viene “ingaggiato” in quanto considerata persona adusa a simili azioni e già coinvolta in una “faida” familiare in territorio calabrese («Il suo paese è giù in Calabria, io quei paesi lì non è che sono andato a vedere… so che è calabrese di origini. Mi dice che è esperto di queste cose qui perché al suo paese sono in faida»).
Gli investigatori spiegano che sebbene i suoi pregiudizi di polizia consentirebbero di ascriverlo alla cosiddetta delinquenza comune (furto, ricettazione, truffa, spaccio di sostanze stupefacenti) la sua prima moglie era stata denunciata con altre tre persone per favoreggiamento della latitanza del boss Bruno Emanuele (vicenda conclusasi con un patteggiamento) mentre la cognata era coniugata con Antonino Zupo, ucciso davanti la sua abitazione il 22 settembre 2012, ritenuto esponente di vertice della criminalità locale, collegato col clan degli Emanuele. E il riferimento alla Faida viene ricondotto a quella che ha riguardato le Preserre tra gli anni 80-90 e dal 2012 in poi.
Il Pubblico Ministero ha contestato l’aggravante del “metodo mafioso” ancorandola alla ritenuta contiguità di Simoncini alla ’ndrangheta e al fatto che si tratta di soggetto – direttamente o indirettamente – coinvolto nella faida.
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