X
<
>

Il luogo della scomparsa di Marica Chindamo

Share
9 minuti per la lettura

Le parole del pentito Pasquale Alessandro Megna sull’omicidio di Maria Chindamo, l’agguato fallito a Pantaleone Mancuso “Scarpuni” e l’hard disk con le foto, la figura di Pino Albanese e l’omicidio Raso


VIBO VALENTIA – L’omicidio di Maria Chindamo, e non solo, agguati falliti e altro ancora nelle rivelazioni del collaboratore di giustizia Pasquale Alessandro Megna, elemento che fa parte della famiglia Mancuso di Limbadi, alla Dda di Catanzaro.

MEGNA SULL’OMICIDIO DI MARIA CHINDAMO, ASCONE E LE TELECAMERE

Per quanto concerne il delitto dell’imprenditrice di Laurana di Borrello – che vede imputato in corte d’Assise Salvatore Ascone alias “Pinnularu” – il pentito svela un particolare inedito finora nel momento in cui riferisce di un ragazzo di Nicotera Marina “che vive a Limbadi, e non ha a che fare con la ’ndrangheta, di professione tecnico elettricista”, il quale gli avrebbe raccontato che Ascone gli aveva “parlato delle telecamere per chiedergli se le Forze dell’ordine avrebbero potuto accorgersi, con riferimento ai suoi impianti, posti di fronte alla campagna della Chindamo, della cancellazione di qualche file o registrazione. Non ricordo le parole precise che usò il ragazzo, ma mi disse in sintesi di avergli risposto che era normale che se le registrazioni si interrompevano a una certa ora e riprendevano a partire da un certo momento, le Forze dell’ordine avrebbero potuto accorgersi che qualcosa che non tornasse e della cancellazione di alcuni file”.

Maria Chindamo
Maria Chindamo

Megna, tuttavia, non ricorda se tale colloquio con “Pinnularu”, soggetto ritenuto affiliato al clan Mancuso, quel ragazzo glielo raccontò subito dopo la scomparsa della donna o se glielo disse dopo dell’arresto dello stesso Ascone per quella vicenda, sempre il fatto delle telecamere precisando, tuttavia  di non essere a conoscenza del coinvolgimento di altri soggetti nell’omicidio della Chindamo.

IL FALLITO AGGUATO A LUNI MANCUSO ALIAS “SCARPUNI”

Il pentito Megna parla anche dell’agguato, fallito, programmato “dai piscopisani con Totò Campisi e dello zio Salvatore Curutello” ai danni di Pantaleone Mancuso alias “Scarpuni” che sarebbe dovuto avvenire nel 2012. Una condivisione di intenti tra i due gruppi: i primi volevano la morte del boss perché sosteneva i Patania nella guerra contro di loro, i secondi, soprattutto Campisi, perché lo riteneva responsabile della morte del padre Domenico (2011) noto broker della droga.

Pantaleone Mancuso

Le vicende, il collaboratore racconta di averle apprese dallo zio Salvatore Muzzupappa e da padre Assunto Megna che in particolare mi parlarono di “Totò Campisi, di suo zio Salvatore Cuturello e dei Piscopisani aggiungendo che dopo l’omicidio di Mimmo Campisi, il giorno stesso, giorni dopo o mesi dopo – in ogni caso l’omicidio era già avvenuto – i Piscopisani avevano trascorso una giornata intero a Nicotera, in particolare utilizzarono l’espressione “ca sutta i nui”. Quindi, avendo appreso questo fatto, mi dicevano che sicuramente i Piscopisani avrebbero voluto fare qualcosa e in particolare dare la risposta per la morte di Campisi”.

MEGNA: “LUNI MANCUSO SAPEVA DEL PROGETTO OMICIDIARIO”

Ma “Scarpuni”, secondo il racconto fatto dai due al pentito “era già a conoscenza da giorni o anche da mesi del progetto di assassinarlo, ma non mi rivelarono come ne fosse l’avesse saputo, si limitarono a dirmi era in grado di avere prima le informazioni, ma non so quale fosse la sua fonte; mi dissero inoltre – aggiunge Megna – che un giorno i Piscopisani, Campsi e suo zio, Salvatore Cuturello (genero figlia di Peppe Mancuso alias ’Mbrogghjia) erano andati ad ammazzare  Luni “Scarpuni”, ma lui quel giorno non passò e non si fece più niente”.

Eppure, spiega,  era “molto semplice ucciderlo perché lui aveva sempre le stesse abitudini e faceva la stessa strada, andando in bicicletta. Ma quella volta, evidentemente sapendo cosa potesse accadere, non passò. Tuttavia, non so dire se il giorno in cui i Piscopisani vennero visti a Nicotera sia lo stesso in cui tentarono di tendere un agguato a “Scarpuni”, o se il tentativo di assassinarlo risalga a un altro giorno”.

L’HARD DISK CON LE FOTO E GLI INTERROGATIVI DI MEGNA

Megna riferisce un fatto che lo sorprese relativo a quando suo zio Salvatore gli avrebbe mostrato un Cd o un hard disk, riferendogli che a consegnarglielo era stato un avvocato, “nel quale vi erano delle foto che raffiguravano, davanti ad un bar di Piscopio, Mimmo Campisi quando era ancora in vita, insieme ad Alfonso Cuturello (figlio di Roberto), ad uno dei suoi fratelli, non so dire se Antonio o Salvatore, a Peppe Mancuso, figlio di Michele Cosma Mancuso, detto “Michelina”, ed ai Piscopisani e l’aver visto quelle foto – racconta il pentito – mi colpì perché c’era il figlio di Michelina e quindi – pur sapendo, come ho già ho riferito, dei contrasti insorti tra “Scarpuni” e lo zio “Michelina” – mi sorprese che ci fosse un Mancuso a organizzare un attentato ad un altro Mancuso”, conclude Megna precisando di aver visto il dopo l’omicidio di Campisi”.

Altra circostanza che lasciò perplesso il collaboratore fu quando sempre suo zio gli disse che “dovevamo guardarci da Peppe Raguseo e da Giovanni Rizzo “mezzodente”. Ad esempio, vi siete chiesti come mai, si voleva uccidere solo “Scarpuni” e non anche “l’ingegnere”, se nella morte di Campisi erano implicati entrambi? Ho pensato che questo fosse dovuto al fatto che “l’ingegnere” è il fratello di Peppe ‘Mbroggjia””.

PINO ALBANESE E L’OMICIDIO DI GIOVANNI RASO

Altro omicidio del quale Pasquale Alessandro Megna fa riferimento nei verbali è quello di Giovanni Raso per averlo appreso, nel 2003-2004, dopo l’operazione “Dinasty”, da “Domenico Cupitò detto “Pignuni” e da mio padre Assunto, mentre parlavano con Antonio Mancuso,  figlio di Peppe ’Mbrogghjia”. In quella circostanza i tre commentavano il fatto che “Giuseppe Albanese, detto Pino “u lupu”, voleva prendersi le guardianie a Nicotera Marina”.

I Raso all’epoca in cui si faceva riferimento nel corso del racconto, “avevano le guardianie dei terreni nella zona di Nicotera dove abitavano e “Pignuni” raccontava che Pino “u lupu”, dopo il suo arresto per l’omicidio di Giovanni Raso, se la voleva cantare e diceva ad Antonio Mancuso: “Meno male che lo hanno subito liberato perché se no, se la cantava e sicuramente rovinava tuo padre” diceva  riferendosi a ’Mbrogghjia e mentre pronunciava queste parole mio padre annuiva in quanto a sua volta era a conoscenza di questi avvenimenti”.  Da questa espressione il pentito afferma di aver compreso che il padre di Antonio fosse “coinvolto nell’omicidio”.

LE ACCUSE DELLA MADRE DELLA VITTIMA AD ALBANESE

Sempre in questo discorso, Megna aggiunge di sentito sempre da “Pignuni” che per “quanto a sua conoscenza era stato “Pino “u lupu” ad accompagnare Giovanni Raso sul luogo in cui poi fu assassinato e che fu la stessa madre di Raso ad accusarlo perché questi era stata l’ultima persona con cui il figlio era uscito di casa. Inoltre, sentivo dire da loro che, dopo la morte di Giovanni Raso, era stato lo stesso Pino “u lupu” a prendersi le guardianie sui terreni di Nicotera che prima erano gestite dalla famiglia della vittima”.

Il collaboratore tuttavia precisa di non sapere chi sia materialmente l’autore dell’omicidio, ma di aver certamente sentito dire a “Pignuni”, che “Pinu “u lupu” lo aveva accompagnato sul luogo. Poco dopo la morte di Raso anche un suo zio, di cui non so dire il nome, ma che chiamavano “il Vampiro”, ebbe la stessa sorte”.

ALBANESE E IL RITORNO A NICOTERA DOPO LA CACCIATA E LA VICINANZA A LUIGI MANCUSO

Il delitto è risalente a prima della nascita di Megna (il pentito è dell’85) e il corpo della vittima venne ritrovato in un pozzetto in un terreno di campagna: “Non so dire – specifica ancora – dell’esistenza di un processo, so solo che Albanese, dopo il suo arresto, venne subito scarcerato; è  ancora in vita e vive a Nicotera Marina e da quando ha fatto rientro in città sta con lo zio Luigi Mancuso. Prima lo avevano mandato via e si era trasferito a Milano. Ricordo che il fatto risale a poco dopo che Luni “Scarpuni” si era fidanzato con mia zia Tita Buccafusca, ma non so dire il motivo della sua cacciata da Nicotera Marina. So solo che lo aveva mandato via mio zio “Scarpuni”.

Da quando Albanese è tornato a Nicotera “stava con zio Luigi lo so perché il mio compare Leo Lentini doveva recuperare dei soldi dello Zio e mi disse che Albanese  aveva ricevuto 70.000 euro da questi, al momento del suo ritorno in Calabria, per ripartire, per “riavviarsi” e pertanto glieli doveva restituire e pertanto lui aveva messo in vendita un terreno di sua proprietà. Lentini mi chiese se volessi compralo ma declinai perché non era confinante con la mia proprietà. Poi so che prima dell’omicidio da me commesso il terreno venne venduto in due porzioni”.

MEGNA RACCONTA IL TENTATO OMICIDIO DEI FRATELLI DI CAPUA

Anche un altro fatto avrebbe riguardato la figura di Albanese: “Ci fu una lite a Nicotera Marina, nel bar di Salvatore Zungri – riferisce ancora Megna – in cui due rumeni che lavoravano per Giovanni Rizzo “Mezzodente” o “Ciopati”, avevano estratto fuori dei coltelli e aggredito i fratelli Carlo e Salvatore Di Capua perché tempo addietro questi avevano avuto una lite o comunque delle parole accese con Pino “u lupu”. Questi due si ubriacavano e creavano sempre casini: per via di uno di loro due, Carletto, ho avuto il problema che mi ha portato a commettere l’omicidio di Giuseppe Muzzupappa”.

Il pentito aggiunge poi di aver appreso da “Mezzodente” che questi due rumeni “li aveva mandati lui. Comunque, Salvatore Zungri mi ha raccontato che gli stranieri erano sul punto di uccidere Salvatore Di Capua perché ce lo avevano sotto ma che lui era intervenuto riuscendo a togliergli il coltello dalle mani proprio mentre uno dei due lo teneva per i capelli e stava per tagliargli la gola. Infine i Carabinieri, intervenuti sul posto, avevano portato in caserma i rumeni in quanto avevano rinvenuto il coltello e lo stesso Zungri si era preso pure una denuncia per questo fatto”.

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE