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Le prime parole del collaboratore di giustizia Renato Marziano

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Le prime parole del pentito vibonese Renato Marziano, ex genio delle truffe al servizio di Piscopio. Gli inizi, l’omicidio da minorenne, fino all’affiliazione nella cosca.


VIBO VALENTIA – La sua carriera criminale inizia a 14 anni, dopo che la sua famiglia si trasferisce da Catanzaro nel Vibonese, con furti di biciclette e di motorini, qualche danneggiamento fin quando finisce agli arresti per l’omicidio del nipote del titolare del Bar belvedere a Pizzo, e lì la sua vita, quella di Renato Marziano, ex componente del clan di Piscopio al servizio del quale commetteva truffe, frazione del comune di Vibo, e dal 2018 pentito di ’ndrangheta, cambia radicalmente. La sua non è una famiglia ricca, il padre infatti era un dipendente Telecom e la madre una  casalinga. Si trasferirono a Pizzo all’inizio degli anni ’70 per via del lavoro di papà “quando avevo all’incirca  5 anni”.

GLI ESORDI DI MARZIANO NEL MONDO DEL CRIMINE

Lui non è un azionista ma un soggetto che effettuava truffe per conto del clan, riferisce nel verbale del 9 luglio di quest’anno, il collaboratore di giustizia – il cui nome è presente nella conclusione indagini dell’inchiesta “Portosalvo” – in cui inizia col parlare alla Dda di Catanzaro dei suoi esordi criminali. Tratteggi la figura di Michele Manco, soggetto “carismatico che comandava per conto dei Mancuso su Pizzo Marina e la Nazionale” e per i quale “commetteva insieme ad altri miei coetanei, tra cui il figlio Massimo, danneggiamenti in cambio di 5-10mila lire”. E che fosse uno ’ndranghetista il pentito lo ricava dal fatto che questi “aveva tatuato su! braccio sinistro l’asso dì bastoni, mentre sul destro l’asso di spade, che indicavano una dote elevata. All’epoca la caratura ‘ndranghetista e le doti si evidenziavano per mezzo dei tatuaggi”.

Quei soldi guadagnati con piccoli crimini, racconta ancora, lo facevano “sentire grande” in quanto così “davo una mano a casa”. In quel periodo – era l’inizio degli anni ’80 – l’allora 15enne Renato Marziano camminava “con Massimo Manco, Virdò e Giovanni Rotiroti”, col quale poi finì in carcere “per l’omicidio nipote del proprietario della gelateria Belvedere, in piazza a Pizzo, con Riga, il figlio del proprietario della gioielleria sita nelle vicinanze, ed altri di cui sinceramente, a distanza di tutto questo tempo, non ricordo più i nomi”.

L’OMICIDIO DEL BISNONNO QUANDO ERA MINORENNE

Frequentando Rotiroti, Marziano riferisce l’episodio dell’omicidio del suo bisnonno: “Lui mi disse che potevamo comprarci una moto Ktm ad 800mila lire, soldi che tuttavia non avevamo, motivo per il quale gli proposi di andare a rubare i soldi che il nonno di mia madre conservava nascosti in casa, all’interno del forno della cucina. A quel punto Rotiroti si recò da lui con la scusa di una motosega da aggiustare, mentre io l’attendevo fuori dall’abitazione, sino a quando uscì dalla casa sporco di sangue, dicendomi di scappare. La notte fu poi preso dai carabinieri e venni a conoscenza del fatto che il nonno di mia madre era stato ucciso, nella specie, per come venni a sapere nel corso del processo, con una coltellata al ventre. Per questo crimine ho sempre ammesso di aver ideato il furto e fatto da palo ma negando sempre ogni coinvolgimento nel suo omicidio”.

IL PENTITO MARZIANO, EX GENIO DELLE TRUFFE, E LE CONOSCENZE DEL IN CARCERE

Ed è in carcere che si forma il carattere criminale di Marziano in quanto finisce per conoscere maggiori esponenti di quella che sarebbe poi stata la criminalità vibonese, tra i quali ricordo gente del calibro di Leone e Roberto Soriano, Nazzareno Castagna, Salvatore Lopreiato, Demetrio Amendola, Francesco Pezzulli, Francesco Lenti, Salvatore Dragone, Mario Aloi detto “dito mozzo”, Adolfo Emanuele, cugino di Bruno Emanuele ed arrestato con Aloi per un omicidio commesso nei boschi delle Serre. Ricordo anche Giacinto Fusto, di Lamezia Terme, con cui poi iniziai ad avere rapporti legati al traffico di cocaina, appartenente al clan dei Molinaro, svariati zingari e tantissimi altri soggetti”.

L’AMICIZIA DEL PENTITO MARZIANO CON GAETANO COMITO E LE PRIME TRUFFE

Ma è con Gaetano Comito, ritenuto elemento dei Mancuso, con cui Marziano stringe amicizia (“Per me era un idolo”) tanto da regalargli un Alano. Con lui avrebbe iniziato a commettere le prime truffe: “Lui aprì un negozio di bilance, affettatrici, banconi frigo ed  altro e iniziammo a commettere insieme una serie di truffe consistenti nell’ordinare merce che poi pagavamo con assegni rubati, o con assegni senza copertura. Nella sostanza io mi occupavo dell’effettuazione degli ordini e, una volta che arrivava la merce, lui non si faceva trovare ed io, con dei blocchetti di assegni che lui mi procurava, firmavo al suo posto questi titoli scoperti indicando nomi di fantasia”.

E se anche qualcuno pretendeva indietro i soldi della merce “veniva minacciato e allontanato da Comito, anche con l’uso di armi, ma questo accadeva di rado perché sapevano che era uomo dei Mancuso”. Al clan di Limbadi, Renato Marziano avrebbe dovuto affiliarsi ma la carcerazione di Comito bloccò tale iter e così finì per farlo in quello dei piscopisani. Quella decisione non fu presa bene dall’amico che disse al pentito “Hai sbagliato famiglia”.

L’INCONTRO CON LEONE SORIANO E L’AGGUATO FALLITO AD ACCORINTI

Durante la detenzione di quest’ultimo, il collaboratore iniziò a frequentare Leone Soriano (“un altro malato di testa”). Siamo al crepuscolo degli anni ’80 e il boss di Pizzinni diede al 20enne pentito un incarico, un omicidio ai danni di una persona la cui identità venne a saperla successivamente: “Dopo che mi inserì nel mercato della droga, offrendomi delle opportunità di guadagno. in cambio delle quali, però, mi disse che avrei dovuto fargli un favore. Fu così che mi ritrovai insieme a Roberto Soriano sulla strada che conduce a Filadelfia, dove, dopo un ponte, prendemmo una strada sterrata, appostandoci dietro un cespuglio da cui si vedeva la strada principale. Mi passò una pistola calibro 7.65 e mi disse che avrei dovuto sparare al pastore che di lì a breve sarebbe transitato con le pecore”.

Solo successivamente, come detto, Marziano venne a sapere che l’obiettivo era Peppone Accorinti, boss di Zungri. “Restammo lì all’incirca due ore ma questo soggetto non passò e pertanto Roberto mi riaccompagnò alla carrozzeria dicendomi di tenermi pronto in quanto avremmo riprovato non appena ve ne fosse stata occasione. Alla fine, di questa cosa non se ne fece più nulla. Questo episodio risale all’incirca all’anno 1986 o 1987”.

IL PENTITO MARZIANO, EX GENIO DELLE TRUFFE AL SERVIZIO DEL CLAN DI PISCOPIO: I TRAFFICI DI DROGA CON VACATELLO

Nel 1989 nuovo arresto e nuova carcerazione che dà al collaboratore l’opportunità di conoscere Salvatore La Rosa, Luciano, Natalino e Mario Macrì, Antonio Vacatello e Damiano Vallelunga, boss dei Viperari di Serra ucciso nel 2007.  Ed è con Vacatello che Marziano, una volta usciti entrambi dal carcere, inizia  a trafficare droga. Con lui e “con i suoi fratelli ma anche con Luciano Macrì e i fratelli. Vacatello comandava su Vibo Marina e faceva parte della Locale di Zungri, con a capo Accorinti, mentre Macrì, per quanto sapevo, faceva parte dell’omonima famiglia di Locri, era cugino di Mommo Macrì e Domenico Pardea  e, con tutti questi, era legato ai Barba e ai Lo Bianco che comandavano su Vibo città ed anche sulla marina, per il tramite di Nicola Barba, che viveva a Bivona ed era molto attivo con l’usura”.

La peculiarità del pentito Marziano diventa quella della commissione di truffe e così si mette al servizio del clan di Piscopio al quale fa guadagnare montagne di soldi. Anche ai danni di esponenti di altre cosche come afferma raccontando di essere stato “l’unico in grado di truffare” proprio Barba che subì la sottrazione di 3-4mila euro con il “consenso di Nazzareno Fiorillo, il quale mi disse che “dovevo farlo piangere”. Ricordo anche che, quando Barba venne a richiedermi i soldi, gli dissi di lasciar perdere, altrimenti darebbe incorso nella stessa sorte riservatagli in passato, i piscopisani lo picchiarono. E per come mi venne poi riferito da Giuseppe Fazio, il motivo dell’alterco era che Barba, all’epoca in cui era in società con Maduli, si era rifiutato di cambiargli un assegno”.

I RAPPORTI CON NAZZARENO FIORILLO E PINO FAZIO

Parlando della “Società di Piscopio”, il collaboratore afferma che Nazzareno Fiorillo alias “U Tartaru” è “il capo unitamente al nipote Michele Fiorillo detto “Zarrillo” e posso affermare questo con certezza in quanto dal 2015 al 2018 sono stato al suo fianco tutti i giorni, prendendo il posto di Massimo Ripepi (ucciso nel 2018 dal cognato) ed accompagnandolo ovunque avesse bisogno, mangiando con lui ed aiutandolo anche a nascondersi nel periodo in cui aveva saputo che avrebbero dovuto arrestarlo”.

E con entrambi Marziano riferisce di aver commesso “ truffe anche per centinaia di migliaia di euro, ma a me e Fazio arrivarono solo le briciole, mentre il grosso venne sperperato da Nazzareno ed altri”, menzionando poi le attività commerciali in mano ai piscopisani come ad esempio la “Belvedere” per la vendita all’ingrosso di bevande, la Chupiteria 65 dove “il numero si riferiva all’anno di nascita di Nazzareno”, specificando che “all’interno delle attività che frequentavamo in questi anni, quali ristoranti, gelaterie o altro non pagavamo mai”. Anche queste attività commerciali che avevamo avviato, alcune anche al di fuori del territorio di nostra diretta influenza, come Pizzo dove Fiorillo voleva espandersi, stavano a simboleggiare l’espansione e l’affermazione criminale dei Piscopisani nell’ambito della provincia vibonese”.

LA TRUFFA DA 50MILA EURO E LE REFERENZE CHIESTE A SORIANO

Renato Marziano era un po’ il genio delle truffe al servizio del clan di Piscopio tanto che in una occasione ne commise una per conto di “Nazzareno Fiorillo che gli fruttò circa 50.000 euro e da quel momento mi volle con sé”, spiega il pentito. La voce della sua bravura in questo campo si era sparsa tanto che anche a Leone Soriano “chiesero referenze sul mio conto  e lui garantì sulla mia affidabilità”.

Ad eccezione di Marziano nessun’altra delle persone menzionate dal pentito è indagata nell’inchiesta “Portosalvo”.

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