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Chiusa l’inchiesta congiunta di Polizia e Carabinieri “Portosalvo” sui clan del Vibonese che ha fatto luce, tra l’altro, su 6 omicidi, 22 gli indagati


VIBO VALENTIA – Associazione mafiosa, omicidi – ben sei e due tentati -, estorsioni, danneggiamenti, porto d’armi, il tutto con l’aggravante delle modalità mafiose. È l’operazione “Portosalvo” condotta congiuntamente da Carabinieri e Polizia sotto il coordinamento della Dda di Catanzaro scattata a maggio scorso (LEGGI) nei confronti dei presunti componenti del clan di Piscopio, dei Tripodi e anche del casato mafioso dei Mancuso di Limbadi.

Dda che adesso ha chiuso l’inchiesta sui clan del vibonese notificando l’atto nei confronti di 22 persone accusate a vario titolo dei reati citati in precedenza. Nel provvedimento, a differenza della prima fase dell’inchiesta, gli inquirenti contestano un ulteriore omicidio: quello di Giuseppe Pugliese Carchedi.

OPERAZIONE PORTOSALVO, GLI INDAGATI NELL’INCHIESTA SUI CLAN DEL VIBONESE

A rischiare il processo sono pertanto Francesco Alessandria54 anni, di Sorianello; Francesco Barba, 62 anni, di Vibo; Rosario Battaglia, 40 anni, di Piscopio; Giuseppe Comito, 49 anni, di Vibo (collaboratore di giustizia); Francesco D’Ascoli, 53 anni, di Vibo; Angelo Davi, 41 anni, di Piscopio; Stefano Farfaglia, 41 anni, di Vibo; Nazzareno Felice, 63 anni, di Piscopio; Nicola Figliuzzi, 34 anni, di Soriano (collaboratore di giustizia); Rosario Fiorillo, 35 anni, di Piscopio; Michele Fiorillo, 38 anni, di Piscopio; Gregorio Gasparro, 53 anni, di San Gregorio d’Ippona; Pantaleone Mancuso, 63 anni, di Limbadi, alias “Scarpuni”; Renato Marziano, 57 anni di Vibo (collaboratore di Giustizia); Giuseppe Patania; 44 anni, di Stefanaconi; Salvatore Patania, 46 anni, di Stefanaconi; Saverio Patania, 48 anni, di Stefanaconi; Nazzareno Patania, 51 anni, di Stefanaconi; Antonino Francesco Staropoli, 48 anni, di Vibo; Salvatore Tripodi, 53 anni, di Vibo Marina; Salvatore Vita, 49 anni, di Vibo Marina.

Il collegio di difesa è rappresentato dagli avvocati Walter Franzé, Diego Brancia, Nicola Cantafora, Sergio Rotundo, Valeria Maffei, Caterina De Luca, Francesco Muzzopappa, Antonia Nicolini, Alessandra Canepa, Alice Zelinda Massara, Francesco Calabrese, Annalisa Pisano, Gregorio Viscomi, Alessandro Diddi, Antonio Larussa, Salvatore Pronesti, Rosa Giorno, Maria Teresa Battaglia e Giuseppe Bagnato.

LE ACCUSE DI ASSOCIAZIONE MAFIOSA

La contestazione associativa mafiosa è avanzata nei confronti di Tripodi, D’Ascoli, Comito e Marziano. Tripodi in qualità di organizzatore, capo e promotore, dirigeva ed organizzava il sodalizio, stabilendo le strategie da seguire, impartendo disposizioni agli altri associati, concorreva alla ideazione ed organizzazione degli omicidi funzionali agli interessi della cosca, gestiva l’esecuzione dell’attività estorsiva, partecipando alla ideazione e materiale esecuzione dei reati-fine, organizzava gli atti intimidatori, stabilendo alleanze e accordi con altri gruppi mafiosi del territorio.

D’Ascoli, partecipe, particolarmente vicino anche al clan dei Piscopisani era imprenditore deputato al reimpiego dei proventi illeciti del gruppo oltre ad essere braccio armato della cosca,  partecipando all’esecuzione di omicidi tra cui quello di Michele Palumbo. Il pentito Comito sarebbe stato componente dei clan Mancuso e Patania, organizzatore insieme ad Alessandria dell’azione di fuoco, assicuravano supporto logistico indispensabile alla perpetrazione dell’agguato omicidiario ai danni di Davide Fortuna del quale ne studiavano gli spostamenti.

L’altro pentito, Marziano, sarebbe stato alle dirette dipendenze del “capo locale” Nazzareno Fiorillo, per conto del quale svolgeva anche la funzione dì autista, collaborava strettamente con lui nella cura degli interessi della cosca, eseguendo le sue disposizioni, assicurando il controllo del territorio e commettendo reati fine del gruppo, in particolare nel campo delle truffe, mettendosi altresì a disposizione della consorteria anche quale azionista per l’esecuzione dei crimini più cruenti”.

LEGGI ANCHE: ‘Ndrangheta, spunta un nuovo pentito nel vibonese – Il Quotidiano del Sud

GLI OMICIDI E TENTATI OMICIDI 

Stefano Farfaglia, Angelo David, Rosario Battaglia e Rosario Fiorillo sono ritenuti mandanti ed esecutori materiali dell’omicidio di Massimo Stanganello (di cui gli inquirenti non hanno mai ritrovato il corpo) commesso intorno al 3 agosto 2008. La causale si fa risalire ad una presunta relazione sentimentale che la vittima avrebbe avuto con una donna di un esponente del clan legato a quello dei piscopisani e deceduto poco tempo addietro. Stanganello venne attirato in una trappola in luogo appartato, dove David e Farfaglia avrebbero esploso alcuni colpi d’arma da fuoco all’addome, così cagionando la sua morte. A questi ultimi due anche l’ulteriore contestazione di occultamento di cadavere.

Altro omicidio contestato è quello di Michele Palumbo, avvenuto la sera dell’11 marzo 2010, di fronte l’abitazione della vittima, a Longobardi, e davanti alle sue due figlie. L’uomo era considerato il referente sulla zona di Vibo e delle Marinate per conto del boss Pantaleone Mancuso, alias “Scarpuni”. Per questo reato devono rispondere Rosario Battaglia, Rosario Fiorillo, Michele Fiorillo, Salvatore Tripodi, Salvatore Vita  e Francesco D’Ascoli, questi ultimi due in qualità di esecutori materiali mentre i primi come mandanti.

Dell’omicidio di Mario Longo, dell’1 aprile 2012 in zona Triparni, sono chiamati a rispondere, invece, Rosario Battaglia, Raffaele Moscato (Collaboratore di giustizia) e Antonino Francesco Staropoli e in precedenza anche il defunto Rosario Mantino. La vittima era ritenuta un confidente dei Patania e delle forze dell’ordine e per questo era stata fatta fuori.

PORTOSALVO, INCHIESTA SUI CLAN DEL VIBONESE: L’OMICIDIO IN SPIAGGIA

A rispondere, invece, dell’uccisione di Davide Fortuna, commessa sulla spiaggia di Vibo Marina il 6 luglio del 2012, davanti alla famiglia della vittima, sono Francesco Alessandria, i collaboratori di giustizia Giuseppe Comito e Nicola Figliuzzi, Pantaleone Mancuso alias “Scarpuni”, e Giuseppe, Salvatore, Saverio e Nazzareno Patania. Il delitto avvenne nel corso della faida che contrappose, tra la fine del 2011 e metà 2012 il gruppo dei Patania appoggiati dai Mancuso e quello dei Piscopisani con il supporto dei Tripodi.

Un ulteriore omicidio – nuovo rispetto alla prima fase dell’indagine – contestato dalla Dda di Catanzaro è quello di Giuseppe Pugliese Carchedi per il quale è chiamato a rispondere Michele Fiorillo con Rosario Fiorillo (minorenne all’epoca), avvenuto alle prime luci dell’alba del 17 agosto 2006 lungo la provinciale 522, tra Pizzo e Vibo Marina, in località “Timpa Janca”, nei pressi del monumento dedicato al brigadiere Miscia (quello con il simbolo dell’elicottero). L’uccisione avvenne dopo un furibondo inseguimento in cui rimase ferito Francesco Macrì che riuscì a salvarsi dai killer gettandosi nella scarpata.

A Michele Fiorillo, Gregorio Gasparro e Nazzareno Felice viene mosso il duplice tentato omicidio a colpi di pistola ai danni di Giuseppe Pugliese Carchedi e Francesco Macrì del 19 febbraio 2005.

Infine Francesco Barba deve rispondere dell’omicidio, in concorso con altri esponenti della cosca omonima e di quella dei Giampà, di Mario Franzoni, avvenuto il 21 agosto del 2002  nei pressi di un incrocio stradale nella frazione Porto Salvo, tra la strada provinciale per Triparni, utilizzando una calibro 9 utilizzata dai killer a bordo di uno scooter.

A Michele Fiorillo e Rosario Battaglia viene mosso il reato di tentato omicidio plurimo aggravato dalle modalità mafiose commesso nei confronti dei fratelli di Rocco e Nicola Bellissimo, di Sant’Angelo di Gerocarne, Cosmo Pistininzi e Pietro Pasquale Cannatelli, avvenuto oil 3 ottobre del 2004.

GLI ALTRI REATI CONTESTATI NELL’INCHIESTA SUI CLAN DEL VIBONESE

Diversi anche gli altri reati contestati: come il danneggiamento a colpi di pistola (a rispondere in questo procedimento è il solo Tripodi mentre per altri si è proceduto separatamente) di un escavatore  di proprietà della società “Nordica Macchine Srl”, in sosta presso il cantiere sito a Vibo Marina. In questo modo avrebbero imposto l’esecuzione dei lavori – che interessavano il quartiere “Pennello” – in subappalto alla “Cooperativa Costruzioni Calabrese” a vantaggio di una ditta di movimentazione terra riconducibile ai Tripodi.

Sempre Tripodi è ritenuto, in concorso con Battaglia e altri soggetti, per i quali si è proceduto separatamente,  l’ideatore, promotore e diretto percettore del provento illecito, poi suddiviso con i componenti della propria e della gemellata consorteria dei Piscopisani, della condotta nei confronti dell’imprenditore Domenico Maduli, ricorrendo a violenze e minacce.

Nello specifico l’indagato avrebbe rivolto all’imprenditore di Pubbliemme ed editore di LaC, per il tramite di Nicola Barba (esponente dell’omonimo clan di Vibo), l’intimazione a corrispondere un “pensiero natalizio” o “fiore”, che il quest’ultimo riferiva di dover consegnare “al boss Luni Mancuso”, salvo, successivamente, consegnare tali somme (tramite il fratello Barba) a Salvatore Tripodi, che successivamente le redistribuiva tra i membri delle cosche Tripodi-Piscopisani.

L’indagato e gli altri avrebbe inoltre costretto Maduli a corrispondere loro la somma di 15mila euro, a motivo dell’ubicazione dell’attività commerciale in un territorio sottoposto al controllo delle due cosche, così procurandosi un ingiusto profitto, “consistito nell’ottenimento, in assenza di alcun titolo giustificativo, della predetta somma con corrispondente danno per la persona offesa”. Ulteriori contestazioni mosse a Tripodi riguardano l’estorsione da 10mila euro al titolare del bar “Il Gabbiano”, a Vibo Marina, quella da 20mila euro ai danni dell’imprenditore edile Vincenzo Restuccia e quella ancora al commerciante Salvatore Malara per un importo non meglio precisato.

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