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Nelle carte dell’inchiesta “Factotum”, condotta dalla Gdf di Torino e coordinata dalla Dda del capoluogo piemontese, il ruolo degli indagati che avrebbero avuto un ruolo nel favorire la latitanza del boss di Sant’Onofrio, Pasquale Bonavota, catturato ad aprile del 2023
VIBO VALENTIA – C’è anche il capitolo della latitanza di Pasquale Bonavota, boss dell’omonimo clan di Sant’Onofrio, nelle carte dell’operazione “Factotum” coordinata dalla Dda di Torino e condotta dalla Guardia di finanza del capoluogo piemontese unitamente allo Scico. La sua cattura avvenne ad opera dai carabinieri la mattina 27 aprile 2023 nella cattedrale di Genova dopo cinque anni di ricerche. Sul suo capo pendeva la misura cautelare del processo “Rinascita-Scott”. Nel corso della latitanza ha goduto della protezione e dell’appoggio dei suoi sodali specialmente nell’area compresa tra la Liguria e il Piemonte dove sono insediate cellule della consorteria criminale, tra Genova e Carmagnola, nell’Astigiano in cui sono presenti delle vere e proprie locali di ’ndrangheta.
E adesso le indagini di “Factotum” ci restituiscono il dato fondamentale delle persone che avrebbero appoggiato Bonavota, vale a dire il sindacalista Domenico Ceravolo, Antonio Serratore, Rocco Costa e Francesco D’Onofrio in collaborazione con Onofrio Garcea che sarebbe il referente della cosca in territorio ligure.
FIBRILLAZIONI DOPO LA CATTURA DEL BOSS BONAVOTA
L’inchiesta registra il giorno dopo la cattura del boss una certa fibrillazione tra gli indagati e tutto parte da una telefonata effettuata da una persona più volte controllata in compagnia dei Bonavota, Ceravolo e i fratelli Serratore, indirizzata al sindacalista nella quale lo notizia che avrebbero dovuto vedersi immediatamente (“Ci dobbiamo vedere, è importante”). Questi si reca all’incontro con Rocco Costa e tutto finisce nel mirino della Finanza.
Ulteriore particolare sul favoreggiamento della latitanza si ricava dalla circostanza che nella perquisizione nell’alloggio di Bonavota tra i vari documenti vennero rinvenute anche delle carte di identità false, o meglio nomi reali ma recanti la foto del boss in fuga. Uno di questi, Domenico Cartisano, ha una cugina, ed è amica della compagna di D’Onofrio, e lavora presso un ospedale di Torino e si sarebbe prestata nel prenotare visite a vantaggio di quest’ultimo.
MONITORATI I MESSAGGI VIA TELEFONO
Il coinvolgimento di Serratore nella vicenda avviene in quanto è emerso come costui abbia ospitato, nel mese di novembre 2022, all’interno della propria abitazione di La Loggia, Vincenzo Bonavota, figlio di Nicola, prima che lo stesso si recasse a Genova ad incontrare lo zio latitante. Inoltre, sempre grazie agli approfondimenti resi possibili dall’analisi della copia forense dei contenuti dei “devices” sequestrati a Bonavota, è stato possibile accertare come sempre Serratore, che il boss aveva salvato sulla rubrica telefonica come “Cam”, abbia finanziato la latitanza.
I contatti sarebbero avvenuti con messaggi nei quali Pasquale Bonavota rivolgeva a “Cam” varie richieste (l’olio buono”, “calze corte adulto rs 500 nere” “3 confezioni di Riopan” e citava un certo “muratore” che si sarebbe recato a Genova ed al quale “Cam” avrebbe potuto consegnare tali beni (“Ascolta, lunedi viene il muratore. Mi mandi con lui 3 conf. di riopan gel bustine. Ma che siano bustine. E un po’ di olio buono. Cmq lunedì nel pom ci sent. Ti abbraccio”).
A ciò si aggiungano altri due messaggi che Pasquale Bonavota ha inviato a “Cam” i quali, in considerazione delle persone menzionate, sia fisica che giuridiche attengono a dinamiche legate alla ’ndrina di Sant’Onofrio operante a Torino e trattate nel corso del processo “Carminius”.
L’ACRONIMO “CAM” E I VERSAMENTI SUI CONTI CORRENTI
Le ulteriori emergenze probatorie hanno consentito di acclarare chi realmente fosse “Cam” e questo non tanto e non solo perché l’acronimo riporta a “Compare Antonio Moncalieri”, e dunque a Serratore che vive a La Loggia, comune limitrofo a Moncalieri (dove negli anni d’indagine è risultato trovarsi stabilmente e dove risiede D’Onofrio), quanto e soprattutto perché la vicenda sopra esaminata dimostra come “sia stato lui ad aver inviato del denaro al latitante e ad aver ospitato un suo congiunto a La Loggia per poi metterlo in contatto con il latitante stesso”.
Quanto all’identificazione del “muratore” che faceva la spola tra Torino e l’allora latitante, gli inquirenti evidenziano come Cartisano di mestiere faccia proprio il muratore, si sia più volte recato da Torino a Genova nel corso della latitanza di Bonavota e lo abbia fatto proprio nel lasso di tempo in cui è altamente verosimile vi siano stati i messaggi telefonici sopra indicati. Inoltre, l’attività di indagini riporta i versamenti effettuati da Serratore nei confronti di tale Francesco Lopreiato, nome già emerso dopo il blitz che ha posto fine alla latitanza di Bonavota in quanto nella perquisizione nell’alloggio di quest’ultimo venne rinvenuta una carta di identità rilasciata dal Comune di Sant’Onofrio il 23 marzo 2015 a Francesco Lopreiato, ivi residente, recante però l’effigie fotografica del boss.
Quanto alla posizione di Ceravolo, gli inquirenti hanno stabilito, dall’analisi della documentazione bancaria relativa al conto corrente dell’indagato acceso presso il Banco di Desio, il trasferimento di somme verso i parenti del boss.
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