Bruno Emanuele
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Nell’inchiesta “Habanero” l’ascesa della figura di Bruno Emanuele, il boss-cecchino delle Preserre nel racconto del pentito Enzo Taverniti
VIBO VALENTIA – Adesso sta scontando l’ergastolo per il duplice omicidio dei fratelli Vincenzo e Giuseppe Loielo ma fino al suo arresto Bruno Emanuele era il capo incontrastato dell’area delle Preserre. Aveva estromesso i Mancuso e intessuto alleanze con tutte quelle consorterie insofferenti al casato mafioso di Limbadi: Bonavota, Anello, gruppo di Mantella, con la benedizione dell’allora mammasantissima di Serra, Damiano Vallelunga. Tra l’allora giovane boss e il più navigato capo del clan dei “Viperari” non vi era simpatia tuttavia il secondo – che aveva una mente criminale finissima – sapeva che non poteva non riconoscere il peso criminale del primo e poi aveva capito che il suo gruppo poteva portare vantaggi alla causa contro i Mancuso.
Nel 2012 finisce in carcere per l’operazione “Luce nei boschi”, poi arrivano gli arresti per il duplice omicidio Loielo (22 aprile 2002) e da quel momento Bruno Emanuele non uscirà più perché le condanne in entrambi i procedimenti saranno pesanti e definitive. Oggi, come detto, sta scontando l’ergastolo per quel fatto di sangue di 22 anni fa, ma sulla sua caratura criminale – tanto che il pentito Moscato parlò di un piano, poi fallito, per farlo evadere durante un trasferimento dal penitenziario – ne sono piene le pagine delle varie inchieste antimafia, come l’ultima, denominata “Habanero”, contro il gruppo alleato dei Maiolo di Acquaro, che tra l’altro vede il fratello Gaetano ancora uccel di bosco.
L’ASCESA DI BRUNO EMANUELE, BOSS DELLE PRESERRE
E in questo passaggio che andremo a raccontare si narra il motivo che portò all’omicidio dei Loielo e l’incontro con quello che al tempo era già il rivale da estromettere da quelle zone: Pantaleone Mancuso, alias Scarpuni, capo dell’ala armata del sodalizio limbadese. La vicinanza a quest’ultimo da parte del gruppo avverso dei Loielo rappresentava per Bruno Emanuele – che non era solo un capo ma anche un abile cecchino richiesto anche da altre consorterie – ulteriore motivo di risentimento di chiudere i conti.
L’ascesa. Le parole sono quelle dello storico pentito Enzo Taverniti. Agli investigatori spiega che il boss delle Preserre, dopo essere entrato a far parte del Locale, rivendicò per sé il controllo criminale di Sorianello, fino a quel momento nelle mani dei fratelli Nardo. Effettivamente, su disposizione di Giuseppe Loielo, il controllo di Sorianello fu affidato a Bruno. “Con riferimento, in particolare, a Sorianello devo premettere che la zona era gestita dai fratelli Nardo. La zona interessava molto a Bruno Emanuele, che ne rivendicava il controllo dopo il suo ingresso nella “società”, che risale all’incirca a un anno prima dalla morte dei fratelli Giuseppe e Vincenzo Loielo. Fu proprio Pino Loielo a convocare i fratelli Nardo dicendo loro che da quel momento il controllo della loro zona sarebbe passato a Emanuele che effettivamente con altri che portò nella “Società” divenne il capo di Sorianello”.
L’incontro e il rifiuto a Mancuso.
Per Bruno, le cose cambiarono in meglio nel momento della carcerazione di Loielo perché gli diedero maggiore campo libero. E infatti Taverniti racconta che durante quel periodo, su indicazione del suo capo, si recò da lui Luni Mancuso “per dei lavori che doveva fare con una ditta a lui vicina nella zona di Sorianello. Io lo accompagnai da Bruno Emanuele, quale responsabile di quella zona, affinché si accordassero sul lavoro da svolgere e avere un occhio di riguardo per lui”. Ma quell’incontro non andò bene e fece comprendere al boss di Limbadi la sfrontatezza del suo interlocutore: “Bruno rispose in maniera secca e scontrosa che ciò che era di Pino Loielo era di Pino Loielo e ciò che era suo era suo, rappresentandogli avrebbe dovuto pagare l’estorsione come tutti gli altri”.
Il summit per estrometterlo e la pace apparente.
Questa vicenda costituì l’elemento scatenante la ripresa, a far data dal 2002 in poi, della faida tra le fazioni Loielo e Maiolo, questi ultimi schieratisi con gli Emanuele. L’atteggiamento di Bruno contro “Scarpuni” fu però severamente criticato dai maggiorenti del Locale. Dopo la liberazione di Loielo, indissero una riunione nel corso della quale quest’ultimo chiese l’estromissione dalla “Locale” del giovane boss, mentre gli altri erano intenti a trovare delle soluzioni pacifiche. Sebbene l’incontro si fosse concluso con un’apparente “pace”. Apparente perché a distanza di alcuni mesi si verificò il duplice omicidio.
È sempre Enzo Taverniti a raccontare la vicenda: “Una volta che Pino uscì dal carcere affrontò Bruno per via del comportamento tenuto e si fece una riunione nella stalla di Nazzareno Altamura, alla presenza di Antonio Altamura, Vincenzo “Cenzo” Taverniti, Rino Scrivo di Serra San Bruno, Umberto Emanuele detto “Sciazza”, Franco Gallace, io, Bruno Emanuele e altri che ora non ricordo”. Vi era dunque tutto il gotha criminale del tempo della zona (eccezion fatta per Vallelunga che comunque aveva l’occhio su tutta l’area).
“Si cercava di trovare una soluzione che evitasse delle guerre e ricordo che in particolare Umberto Emanuele propendeva per una soluzione pacifica, atteso che Pino Loielo, per via del comportamento di Bruno voleva la sua fuoriuscita dalla Locale. La riunione si concluse con una stretta di mano tra i due, siglando apparentemente una pace. Questa riunione si tenne all’incirca 4-5 mesi prima del duplice omicidio di Giuseppe e Vincenzo Loielo”.
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