Salvatore Ascone
3 minuti per la letturaIl panico di Salvatore Ascone dopo che apprende del pentimento di Emanuele Mancuso: «Mo’ mi arrestano, bruciate le piantagioni»
VIBO VALENTIA – “Mo’ mi fanno l’arresto, mo’ mi spaccano”. Quando Salvatore Ascone lesse sui giornali del pentimento di Emanuele Mancuso e soprattutto le prime dichiarazioni che lo riguardavano entrò nel panico più totale – anche perché nessuno si poteva attendere che un appartenente a quella famiglia potesse saltare il fosso – ben conscio che il collaboratore nel corso degli anni aveva fatto con lui grossi affari legati al traffico di droga.
È il 24 marzo del 2019 quando, commentando un articolo di giornale pubblicato lo stesso giorno che trattava delle dichiarazioni del collaboratore, Ascone manifestava forte preoccupazione per le conseguenze penali che avrebbe potuto subire (“Mo’ qua mi fanno l’arresto” afferma imprecando) anche perché in quelle dichiarazioni il pentito lo indicava quale fornitore di cocaina della cosca Soriano.
E così, tra una imprecazione e l’altra, avrebbe impartito disposizioni affinché lo stupefacente in suo possesso venisse spostato o distrutto, temendo un intervento delle forze dell’ordine (“Inc… questo figlio di puttana… Mi spaccano! Non tenete niente, distruggiamo tutto là, andate e distruggete tutto là, qui arriva l’esercito! L’esercito, non mi vuole sentire quel cornuto del picciotto… inc… lo sai qua inc… di Carabinieri che mi arrivano!… Vedi dov’è quella cosa e digli di distruggerla, altrimenti lo ammazzo (Impreca), questo figlio di puttana! Di suo zio Luigi non parla?… Mi possono fare il mandato di cattura anche nel giorno (altra imprecazione) … lo posso stare dietro di voi (impreca), devo andare a nascondermi il giorno! Questi mi possono infilare nel processo “Nemea” ,qua, pare che, che c’entra nell’associazione che devono fare, mi vengono a prendere un giorno e mi portano. In particolare la famiglia Ascone…”).
Nell’esternare il suo disappunto, Ascone rammentava anche di aver contribuito all’arricchimento di Emanuele Mancuso (“Chissà cosa c’è ancora dietro! Chissà cosa c’è! Questo Cornuto (ndr riferito al pentito)! Ma quello l’ha detto che ancora sta parlando … mo’ sta parlando! Questo figlio di puttana dopo che l’ho reso ricco! Ne ho problemi io nella vita… (impreca)…non esco più! Non devo uscire più! La cocaina io gli ho dato, l’eroina gliel’ha data un altro? …Cancro che gli possa venire in pancia”).
Preso dalla rabbia da un lato e dalla paura dall’altro, l’indagato chiedeva quindi, al suo collaboratore Laurentiu Gheorghe Nicolae di occuparsi della gestione dei traffici di droga e dei figli, qualora fosse stato tratto in arresto (“Oh Leo mio, non fosse mai, facendo corna… inc.le… non li abbandonare perché qua non so come va a finire, io!”) e sul finire del discorso, dava ulteriori disposizioni di distruggere lo stupefacente a distanza di chilometri dalle loro proprietà, al chiaro fine di non fare ricondurre a loro eventuali tracce rinvenute (Distruggi quella cosa! Qui arriva l’esercito! Anche a chilometri me la buttano a me (ndr. addebitano a me) impreca.. non volete capire! Andiamo”).
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