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L'arresto di Giuseppe Salvatore Mancuso

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Dalla operazione Maestrale-Carthago emergono dettagli sulla latitanza di Giuseppe Salvatore Mancuso “coperto” dagli Accorinti di Zungri

VIBO VALENTIA – Il 27 novembre 2019 i carabinieri fecero irruzione in un’anonima abitazione nel piccolo borgo di Zaccanopoli ponendo fine alla latitanza di Giuseppe Salvatore Mancuso, figlio del presunto boss Pantaleone, alias l’Ingegnere, e fratello del pentito Emanuele. Si trovava in una stanza, mentre gli altri occupanti dei locali, un uomo ed una donna di nazionalità caraibica, in un’altra. Poco distante, l’arsenale costituito da una pistola, un fucile di precisione con apposito mirino, passamontagna ed altri oggetti che hanno fatto presupporre agli inquirenti che si stesse organizzando qualche attentato omicidiario.

Dalla recente inchiesta “Olimpo” contro il clan La Rosa di Tropea, è emerso come il rampollo del casato mafioso di Limbadi sia stato aiutato dalla famiglia operante nella Perla del Tirreno. Tant’è che l’8 settembre 2019 in una intercettazione Tonino La Rosa e Gaetano Muscia avevano – secondo gli investigatori della Dda  di Catanzaro – affrontato la questione:

«Ma una casa fuori mani l’abbiamo a disposizione?», «…per quando deve stare un mese?», «Uno, un mese e mezzo». Dopo aver quindi sondato il terreno, qualche giorno dopo La Rosa chiede al padre Domenico, nuove informazioni per capire se quel «figliolo» si fosse «buttato latitante». 

In un’altra captazione di tre giorni dopo sempre La Rosa discuteva con un certo Antonio chiedendo a quest’ultimo «la chiave» senza però riceverla in quanto il proprietario dei locali stava ultimando dei lavori al pavimento: «Ok me lo dici tu quando» affermava La Rosa, «(…) no ma dopo ti faccio una chiave, un bell’appartamentino, questo è un pezzo grosso!»; «Qua – aggiungeva Antonio– tra dieci-quindici giorni non c’è nemmeno un’anima» «sì, lo so è buonissima Antonio, qua è l’ideale».

OPERAZIONE MAESTRALE-CARTHAGO, L’AIUTO DEGLI ACCORINTI PER LA LATITANZA DI GIUSEPPE SALVATORE MANCUSO

Ebbene, adesso dall’operazione Maestrale-Carthago emerge un’altra circostanza legata alla latitanza del giovane. Secondo l’accusa l’avrebbe favorita Peppone Accorinti e il suo gruppo. Infatti, il paese dove Mancuso era nascosto è sotto il diretto controllo della Locale di Zungri. La vicenda vede indagati oltre al boss Peppone Accorinti, la compagna Filippina Carà, Michele Galati, Giuseppe e Lucia Colacchio, Giuseppe Carà.

Mancuso il 6 settembre precedente era evaso dagli arresti domiciliari a seguito dell’operazione “Mediterraneo”, della Procura di Palmi. Ma non era l’unico provvedimento che lo aveva colpito. Era stato infatti anche destinatario di un ordine di carcerazione emesso dai giudici d’Appello di Milano.

 Secondo l’attività investigativa Accorinti, i due Carà e la Colacchio, nella serata del 7 settembre avrebbero fornito fornivano protezione al giovane, ospitandolo presso l’abitazione di Giuseppe Carà e permettendogli di incontrare Galati, Gaudioso e tale Riccardo (non meglio identificato). Di fatto, Accorinti, Galati e Gaudioso ne avrebbero gestito la latitanza, individuando i luoghi idonei a fornirgli un rifugio sicuro ed offrendogli il supporto logistico indispensabile per gli spostamenti aiutandolo, così, a sottrarsi alle ricerche, nonché all’esecuzione della pena della reclusione di 5 anni, 2  mesi e 12 giorni emesso dalla Corte d’Appello di Milano il 16 ottobre sempre del 2019. Appena un mese dopo la cattura a Zaccanopoli.

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