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Il fratello del pentito Raffaele Moscato deve rispondere dell’accusa di truffa in relazione ai crediti per il Superbonus 110%
VIBO VALENTIA – Era stato accusato di aver coperto la latitanza di Salvatore Tripodi, soggetto ritenuto dalla Dda di Catanzaro al vertice dell’omonimo sodalizio di Vibo Marina-Portosalvo, ma poi era stato assolto. Così come lo stesso Tripodi ma in un altro procedimento penale, quello denominato “San Michele” sull’uccisione del boss di Stefanaconi, Fortunato Patania.
Adesso il suo nome figura nell’inchiesta della Guardia di Finanza di Treviso su una presunta truffa milionaria ai danni dello Stato. Lui è Francesco Leonardo Moscato, 30 anni, di Vibo Marina, ed è fratello minore del collaboratore di giustizia Raffaele Moscato, gola profonda del clan di Piscopio che con le sue rivelazioni, unite a quelle di altri pentiti, ha fatto arrestare svariate centinaia di persone.
FRATELLO DEL PENTITO MOSCATO ACCUSATO DI TRUFFA PER IL SUPERBONUS 110%
In questa indagine, Moscato, assieme al ragioniere di Ponte di Piave, Giorgio Scarso, ed altre 20 persone, è accusato di aver accumulato una fortuna in crediti fiscali proprio grazie agli incentivi statali dedicati alla ristrutturazione delle case (il Superbonus). Imponente nelle somme il provvedimento di sequestro che ha interessato tutti i soggetti coinvolti: 8 milioni di euro in una prima fase, 3,3 milioni nella seconda.
Francesco Leonardo Moscato, nel luglio del 2015 aveva fatto pervenire, per il tramite della fidanzata, presso le redazioni giornalistiche del Quotidiano del Sud e di Gazzetta, una lettera nella quale si dissociava dalla decisione del fratello maggiore di avviare il suo percorso con la Distrettuale antimafia di Catanzaro (risalente a qualche giorno dopo gli arresti dell’operazione San Michele, febbraio 2015): “Francesco ha condotto vita autonoma ed indipendente da quella del parente, fin dal momento del suo pentimento”, era un passo della missiva.
QUANDO FRANCESCO MOSCATO SI DISSOCIÒ DAL PENTIMENTO DEL FRATELLO
Nel processo per l’arresto di Tripodi, era stato escusso in aula l’ispettore capo della Polizia di Stato, Giovanni Catanzaro. Questi aveva raccontato come, una volta appresa la notizia del pentimento di Raffaele, si era immediatamente avviato «un servizio di protezione per la madre e il fratello del neo collaboratore portandoli in una località protetta. Ma pochi giorni dopo, mentre la donna rimase ferma sulla sua decisione, il figlio Francesco si allontanò per far ritorno a Vibo Marina e troncando le comunicazioni».
Al che, il genitore, preoccupato, allertò la polizia che a sua volta rintracciò il giovane invitandolo «a tornare nella località protetta. Lui alla fine acconsentì – ha aggiunto l’ispettore – chiedendo però di poter prima avere un colloquio con il fratello Raffaele». Colloquio intercettato e nel corso del quale l’imputato aveva «tentato di convincere il fratello a desistere nel continuare la collaborazione con la giustizia». Il resto è storia più o meno nota. Con la dissociazione di Francesco e la prosecuzione del nuovo percorso (anche di vita) intrapreso dal congiunto.
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