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L'arresto di Matteo Messina Denaro

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VIBO VALENTIA – «L’ordine sarebbe partito da Matteo Messina Denaro, nel 2015. Cosa nostra e ‘ndrangheta dovevano «lavorare assieme per diventare un’unica famiglia».

Parola di Ignazio Zito, collaboratore di giustizia che ha fatto parte di cosa nostra, le cui dichiarazioni sono state valorizzate nelle motivazioni, appena depositate, della maxi sentenza emessa dal Tribunale penale di Asti che ha inflitto una raffica di condanne a conclusione del processo di primo grado scaturito dall’inchiesta della Dda di Torino che nel marzo 2019 portò all’operazione “Carminius“, condotta contro il “locale” di ‘ndrangheta di Carmagnola, capeggiato dalla famiglia Arone e ritenuto proiezione criminale del clan vibonese dei Bonavota.

Del resto, quando lui si era trasferito a Carmagnola, aveva avuto modo di constatare la «collaborazione» di uomini di cosa nostra è ‘ndrangheta. Di questo accordo tra i capi delle due organizzazioni criminali gli aveva riferito Rocco Zangrà, “responsabile della ‘ndrangheta in Piemonte”, condannato per associazione mafiosa in via definitiva.

Ufficialmente titolare di un bar a Carmagnola ma di fatto “corriere” della ‘ndrangheta che lo utilizzava per trasportare, anche solo per piccoli tratti, armi, bombe e droga in grande quantità, Zito sostiene che capo mandamento di cosa nostra a Carmagnola era Tonino Buono, il quale l’avrebbe messo in contatto con un funzionario del Comune di Carmagnola per risolvere una problematica relativa al dehor del suo locale e all’occupazione di suolo pubblico, e con Franco Messina, capo regione di cosa nostra, per reperire gli arredi che gli servivano per il bar.

Un altro elemento che deporrebbe per l’«operatività congiunta» di cosa nostra e ‘ndrangheta sarebbe che, per essere reinserito in cosa nostra, gli avevano chiesto di compiere furti di motozappe ma anche di trasportare armi e droga che sarebbero poi stati trasportati in Calabria.

L’“organizzazione”, come la chiama il pentito, era composta dal mandamento di cosa nostra di Buono e Messina e dalla ‘ndrina capeggiata da Salvatore Arone e operava appunto a Carmagnola e dintorni.

Zito definisce Salvatore Arone come il “capo assoluto” della ‘ndrangheta di Carmagnola, anche se non l’ha mai conosciuto. Altro elemento importante, riportato nelle motivazioni della sentenza, è che alle riunioni partecipavano membri di entrambe le associazioni, stando al racconto del pentito, e che Franco Arena svolgeva il “ruolo” del fratello Salvatore che invece non presenziava mai agli incontri. Del resto, Zito si occupava di trasportare armi e droga proprio in virtù del fatto che «Tonino Buono e Franco Arone collaboravano insieme».

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