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Il tribunale di Milano

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MILANO – Tra le persone arrestate questa mattina nell’ambito dell’indagine della Dda di Milano (LEGGI) sulla ‘ndrangheta nel milanese c’è anche Luigi Aquilano, il genero del boss Antonio Mancuso, capo della locale di Limbadi, in provincia di Vibo Valentia.

In tutto sono 27 le persone che, al termine dell’indagine coordinata dalla pm Alessandra Cerreti, si sono viste recapitare l’avviso di conclusione indagini. Aquilano, come si legge in un passaggio delle 850 pagine di ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Lidia Castellucci, era “promotore e organizzatore” del gruppo finito al centro delle indagini.

Aquilano «avendo sposato Rosaria Mancuso, figlia del capobastone Antonio Mancuso» di 84anni aveva «compiti di decisione, pianificazione e di individuazione delle azioni da compiere e delle strategie da adottare» e «Pianificava, organizzava e gestiva personalmente il traffico di sostanza stupefacente, coordinando tutte le fasi di contrattazione, acquisizione e successiva cessione, impartendo disposizioni immediatamente precettive agli associati».

Non solo, secondo gli inquirenti, il genero del boss aveva esteso i traffici del gruppo «fuori dei confini nazionali ed, in particolare, sull’isola di Ibiza, facendo leva sulla forza di intimidazione» capace di esercitare e «sulle conseguenti condizioni di assoggettamento e di omertà, già percepite su quel territorio, proponendosi ad imprenditori italiani nel settore della ristorazione e dell’intrattenimento – presenti sull’isola – nella risoluzione di controversie relative a recupero crediti».

‘Ndrangheta nel Milanese, il genero di Mancuso acquista il bar di fronte al tribunale

Tra le varie attività, Luigi Aquilano, ha acquistato nel 2020 un bar di fronte all’ingresso di via Manara del Tribunale di Milano. Nel locale lavorava la moglie Rosaria Mancuso (che non è indagata), che approfittava della situazione per prendere informazioni sulla clientela del locale, «composta da magistrati avvocati e membri delle forze di polizia e e personale impiegato negli uffici giudiziari».

In particolare, come si legge nell’ordinanza del gip Lidia Castellucci, Rosaria Mancuso «approfittando delle generalità riportate sui ticket» dei buoni pasto aveva «consultato fonti aperte per informarsi sulla storia e sulla carriera professionale dei magistrati che sono habitué del loro bar».

«Nella circostanza, la donna, Rosaria Mancuso, raccontava al marito» e ad un amico che «proprio quel giorno, si era recato al loro bar milanese un giudice che aveva presieduto il processo relativo alla riconducibilità della nota farmacia Caiazzo di Milano alla famiglia di ‘ndrangheta degli Strangio».

La donna ha anche parlato agli interlocutori di un magistrato donna «bionda che ha fatto processi importanti» e di un altro magistrato cliente che «faceva parte del processo Why Not» contro la ndrangheta. In conclusione, il commento di Rosaria Mancuso è stato «siamo proprio circondati!».

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Francesco Ridolfi

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