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Il ministro dell’interno, Matteo Piantedosi, prima di lasciare Limbadi, ha incontrato i familiari di Maria Chindamo, nel luogo in cui l’imprenditrice venne rapita per poi essere uccisa, la mattina del 6 maggio del 2016
LIMBADI – Prima di lasciare Limbadi, dove nel pomeriggio ha presenziato all’inaugurazione di una caserma dei carabinieri in un immobile confiscato al clan Mancuso, per fari rientro a Roma, il ministro Matteo Piantedosi ha fortemente voluto fare una tappa di elevato significato simbolico incontrando, ed intrattenendosi con loro per qualche minuto, i familiari di Maria Chindamo, l’imprenditrice 44enne di Laureana di Borrello (Rc), rapita e uccisa il 6 maggio del 2016 davanti all’ingresso della sua azienda agricola, in località Feudo Montalto.
PIANTEDOSI INCONTRA I FAMILIARI DELLA CHINDAMO
Ed è proprio lì che il titolare del dicastero degli interni, insieme al procuratore di Vibo Camillo Falvo, al prefetto di Vibo Anna Aurora Colosimo, al sottosegretario agli Interni, Wanda Ferro e al presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, e il presidente della Commissione Antimafia, Chiara Colosimo, ha incontrato Vincenzo Chindamo, fratello dell’imprenditrice vittima di lupara bianca e i figli della donna. Ha voluto conoscere proprio quelle persone che da anni stanno portando in ogni dove il nome di Maria, di una vitta della brutalità mafiosa, e che aspettano giustizia.
Sul suo profilo “X” il ministro ha scritto queste parole: “A Limbadi, in provincia di Vibo Valentia, ho deposto un mazzo di fiori di fronte al cancello della tenuta dove avvenne il rapimento di Maria Chindamo, imprenditrice agricola, il 6 maggio del 2016, in seguito uccisa per mano della ‘ndrangheta. Maria ha pagato con la vita la sua scelta di ribellarsi alla prevaricazione e alla violenza della criminalità organizzata. Lo Stato è vicino ai familiari di Maria e a tutte le persone che come lei hanno scelto di stare dalla parte giusta”.
IN CORSO IL PROCESSO PER L’OMICIDIO DI MARIA CHINDAMO
Sull’omicidio di Maria Chindamo è in corso, davanti la corte d’Assise, il processo a carico di Salvatore Ascone, ritenuto elemento del clan Mancuso, che avrebbe avuto un ruolo rilevante nella vicenda mettendo fuori uso le telecamere della sua abitazione che puntavano proprio verso il cancello d’ingresso della proprietà della donna proprio il giorno del suo rapimento.
La sua auto ritrovata con il motore acceso, le tracce di sangue e capelli all’interno avevano portato sin da subito a temere il peggio. Le indagini dei carabinieri coordinate dalla Dda di Catanzaro rivelarono che dopo l’uccisione, il corpo di Maria Chindamo sarebbe finito in pasto ai maiali, con i resti distrutti mediante una fresa agricola. E sempre secondo l’attività investigativa dietro questo macabro destino vi sarebbe stato il suocero, Vincenzo Puntoriero, che non tollerava l’indipendenza e le scelte personali di Maria, tra cui la gestione autonoma dei terreni agricoli dopo il suicidio del marito nel 2015 e l’inizio di una nuova relazione sentimentale. Suocero, deceduto qualche anno fa. Ma vi sarebbe, per quanto emerso in fase di indagine, anche una cointeressenza con Ascone, noto alle forze dell’ordine per essere soggetto dedito all’acquisizione di terreni con la forza, e nel mirino era finito proprio quello della Chindamo.
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