Il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese
3 minuti per la letturaPIZZO (VIBO VALENTIA) – «Le circostanze analiticamente esaminate e dettagliatamente riferite nella relazione del prefetto hanno rivelato una serie di condizionamenti nell’amministrazione comunale di Pizzo, volti a perseguire fini diversi da quelli istituzionali, che hanno determinato lo svilimento e la perdita di credibilità dell’istituzione locale nonché il pregiudizio degli interessi della collettività, rendendo necessario l’intervento dello Stato per assicurare la riconduzione dell’ente alla legalità».
È questa la conclusione della lunga relazione del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese che, accolta dal presidente della Repubblica, ha decretato lo scioglimento per infiltrazioni mafiose del comune di Pizzo (LEGGI). Una sentenza, tuttavia, attesa a seguito dell’operazione “Rinascita-Scott” che aveva portato all’arresto dell’ex sindaco Gianluca Callipo (LEGGI) e dell’agente di polizia municipale Enrico Caria facendo emergere uno spaccato di cointeressenze tra l’amministrazione di Palazzo San Giorgio ed esponenti della criminalità locale e non.
«Nel documento redatto dal Prefetto di Vibo Valentia – si legge nella relazione – si dà atto della sussistenza di concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti e indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata di tipo mafioso e su forme di condizionamento degli stessi, riscontrando, pertanto, i presupposti per l’applicazione dello scioglimento». All’ex primo cittadino Gianluca Callipo, finito in carcere lo scorso 19 dicembre, viene contestato di aver concretamente contribuito, pur senza farne formalmente parte, «al rafforzamento, alla conservazione e alla realizzazione degli scopi dell’associazione mafiosa operante […] allo scopo di commettere delitti tra i quali la corruzione e la coercizione elettorale, acquisire appalti pubblici e privati, ostacolare il libero esercizio del voto. Lo stesso è inoltre indagato per aver omesso nella qualità di pubblico ufficiale di compiere qualsiasi atto amministrativo che potesse dare effettiva e concreta esecuzione a ordinanze emesse dagli uffici amministrativi del Comune di Pizzo» ma anche per aver con la sua condotta privilegiato i suoi interessi imprenditoriali.
Diverse le fattispecie evidenziate nell’atto. La prima vicenda riguarda l’occupazione abusiva da parte del gruppo criminale egemone in città dei box nell’ex Piazza Mercato, oggetto di sgombro nel 2013 ma che nel 2017 da una indagine dei carabinieri sono risultati essere nuovamente occupati da soggetti riconducibili al capo cosca; viene evidenziato dagli inquirenti che, pur essendo il sindaco e l’amministrazione consapevoli dell’occupazione, non hanno provveduto al sequestro, con il primo cittadino che avrebbe incontrato nello stesso periodo, ovvero in campagna elettorale, il capo della locale cosca, sottoposto a sorveglianza speciale, per discutere più volte dei box e di un contenzioso tra comune ed un parente del capo clan per una occupazione abusiva di un’area di proprietà comunale su cui l’uomo aveva costruito parte della sua casa.
Altra vicenda sottoposta ad attenzione è quella di una struttura ricettizia, alla quale i Nas avevano fatto visita nel giugno 2017, scoprendo irregolarità accertate dall’ufficio tecnico comunale risalenti già al 2015; in quel caso l’amministrazione provvedeva nel giro di pochi giorni a far riaprire la struttura senza aver accertato che fossero stati fatti i lavori di regolarizzazione. Inoltre ad aggiudicarsi la vendita all’asta della struttura nei mesi successivi, sarebbe stata una società le cui quote sociali appartengono allo stesso primo cittadino e ad un suo stretto parente, società scelta dalla cosca locale per continuare attraverso essa a gestire la struttura, fattispecie che secondo gli inquirenti lo stesso sindaco ha assicurato ai soggetti riconducibili agli ambienti criminali.
Il controllo operato dalla consorteria criminale sulle diverse componenti dell’amministrazione comunale di Pizzo ha trovato, secondo le risultanze investigative, ulteriore conferma in un’altra vicenda concernente la richiesta pervenuta all’Ufficio della polizia municipale di effettuare accertamenti in merito alla convivenza tra il capocosca – in quel periodo recluso in carcere – e la sua compagna, al fine di poter consentire a quest’ultima di fargli visita: «Il procedimento, assegnato in un primo momento a un agente della polizia municipale, non si era concluso favorevolmente per l’istante in quanto era stata riscontrata la mancanza dei prescritti requisiti, come peraltro confermato da analoghi accertamenti condotti dall’Arma dei Carabinieri. Successivamente il comandante della polizia locale – alla cui attenzione era stato posto il procedimento – al fine di agevolare l’organizzazione criminale di Pizzo sottoscriveva una falsa attestazione che consentiva di definire favorevolmente la richiesta, permettendo alla compagna del capo cosca di accedere alla struttura carceraria».
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