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CINQUE pagine per motivare la sentenza che taglia fuori il Cosenza dal calcio professionistico. Dopo la decisione di respingere il ricorso contro l’iscrizione della società Vallée D’Aoste, l’Alta corte di giustizia sportiva del Coni ha reso note ieri le ragioni che giustificano la decisione.
E già le premesse sono spinose. La federcalcio e la Lega contestavano che il consiglio federale ha disposto sì il ripescaggio in Lega Pro, ma solo se il numero complessivo delle squadre di prima e secondo divisione fosse stato inferiore a 60 unità. E invece ad oggi, fa rilevare l’Alta corte, le società iscritte sono 69: «E’ evidente, in questa situazione, che la società Nuova Cosenza mai potrebbe prendere il posto in ipotesi reso vacante dalla società Vallée d’Aoste». Respinta in questo senso la contestazione dei legali del Cosenza, secondo la quale ci sarebbe incoerenza tra due deliberazioni della Figc.
Precisano inoltre i giudici che anche se questo già basterebbe a chiudere la discussione, il ricorso «è nel merito anche infondato». Viene infatti fatto rilevare che la norma che impone di utilizzare impianti nel territorio regionale è stata così fissata perché l’ambito provinciale veniva considerato «troppo angusto per garantire il reperimento – in carenza di uno stadio nel comune sede della stessa società – di un altro stadio idoneo». Afferma allora l’Alta corte: «Se così stanno le cose non può che manifestarsi consenso allo sforzo interpretativo del provvedimento impugnato», dato che la Val d’Auosta è una regione che ha dimensione pari a una provincia.
Bocciato anche il secondo punto del ricorso: la data della fidejussione, che il Cosenza contestava, è stata considerata accettabile facendo fede al timbro ufficiale di ricezione del 16 luglio. Al Cosenza, quindi, non resta che rassegnarsi.
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