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SONO i due volti grintosi della Calabria sportiva. Ieri, dopo che Rosalba Forciniti ha conquistato la medaglia di bronzo olimpica nel judo, ha ricevuto una telefonata da Rino Gattuso, campione del mondo con la nazionale di calcio nel 2006. Filo conduttore della conversazione, la comune origine calabrese: «Che emozione un campione del mondo», ha detto la judoka, ma Gattuso le ha risposto: «No, l’emozione è mia, la campionessa sei tu». Forciniti è stata festeggiata a Casa Italia e ha rivelato un particolare curioso: nella finale per il bronzo ha combattuto con la mano sinistra fasciata perchè fratturata.
E che Rosalba sia più forte di tutto lo conferma anche il suo maestro di sempre. Dice di ricordarsi tutto. Da quel primo giorno in piazza a Longobucco fino alla medaglia di bronzo di ieri. Mario Mangiarano è stato il primo istruttore di Rosalba Forciniti, l’uomo che un giorno del 1993 la scoprì nella sua città e si mise poi, insieme a suo figlio Marco, a coltivare quel talento praticamente tutti i giorni fino al 2005. Ieri ha trepidato davanti alla tv. Ha sofferto, esultato e si è emozionato «per una gioia indescrivibile. Vederla sul podio è un sogno che si realizza anche se a costo di tanti sacrifici».
Immagini, gare, momenti felici e meno felici, tutto stampato nella memoria del maestro: «Ricordo che facemmo questa manifestazione a Longobucco e riuscimmo a interessare un gruppo di ragazzini tra i quali Rosalba che aveva sei anni e mezzo. Ricordo anche che per farla venire in palestra dovetti convincere la madre, preoccupata del fatto che fosse sottopeso e che le cose, con il judo, sarebbero peggiorate. Invece sapevo che la realtà sarebbe stata diversa».
Già nella prima gara si poteva intuire che la piccola Rosalba potesse essere una predestinata: «Andammo a Lipari – racconta Mangiarano – e ricordo che dopo essersi sorbita il viaggio prima da Longobucco a Cosenza e poi fino in Sicilia, ci sentimmo dire che non c’erano altre bambine con cui poterla fare gareggiare. Lei aveva otto anni. Dovetti alzare la voce e alla fine mi accontentarono facendola affrontare i maschietti. E vinse. A quell’età le bambine sono molto più mature».
Da quel punto in avanti la storia di Rosalba prende una piega assolutamente vincente: «Da subito si vedeva che era bravissima. Ha vinto gli Europei a 17 anni in Ungheria, nel 2003 a Lione è stata nominata atleta europea dell’anno, quando ancora non c’era neanche la possibilità che sarebbe entrata nei Carabinieri, come accadde dopo. Ma l’elenco delle gare vinte è veramente lunghissimo».
Il problema, ma anche un motivo di grandissimo orgoglio, è che un talento come quello della Forciniti in Calabria faticare davvero tanto per emergere. Più che altrove. E non per possibili demeriti propri. «Noi siamo quelli che partono la mattina delle gare, arrivano a destinazione, fanno le gare e la sera se ne tornano a casa. Chilometri e chilometri di strada e un panino per pranzo. Non ci possiamo permettere neppure un albergo. Ci autogestiamo e ci autofinanziamo. Nessuno ci aiuta. Facciamo di tutto per la nostra terra, speriamo che la nostra terra prima o poi faccia qualcosa per noi. Non è solo una questione di soldi. La Calabria è tagliata fuori, prendere un aereo non è come prenderlo in un’altra città. Se l’Italia fosse tonda, sarebbe molto meglio».
Ci sono altre potenziali Forciniti? «Abbiamo dei ragazzi interessanti. Il materiale umano non manca. Ma lei lo sa che nel gruppo di Rosalba, al suo livello ce n’erano almeno cinque o sei? Continuare dipende da tante cose, non ultima la famiglia. E la famiglia di Rosalba non le ha mai fatto mancare nulla per assecondare questa passione».
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