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SCATTA l’europeo degli azzurri, il primo evento di Prandelli, il primo con due colored a vestire la maglia della nazionale italiana. Ma anche il primo, dopo 14 anni, senza un calabrese. Non era mai successo in questo primo scorcio di XXI secolo che l’Italia affrontasse una competizione internazionale senza calciatori nati tra il Pollino e lo Stretto.
QUANDO SBOCCIO’ FIORE – L’ultima volta era stata Francia ’98. Poi ci fu l’europeo del 2000, l’impresa mancata per un pugno di secondi nella finale contro la Francia. E il trascinatore di quella squadra nella quale Dino Zoff aveva convocato gente del calibro di Totti, Del Piero e Maldini fu un centrocampista cosentino di 25 anni, Stefano Fiore, la vera rivelazione del torneo, capace di garantire equilibri e fantasia, di trascinare la squadra e di andare a segno. Fino alla finale, nella quale restò in campo 53 minuti, prima di lasciare il posto ad Alessandro Del Piero, il Pinturicchio che quell’anno faceva da riserva al giovanotto nato in riva al Crati. E non era nemmeno l’unico cosentino in campo in quella sera del 2 luglio a Rotterdam: una linea più indietro, con il compito di contenere Henry e Dugarry e di arginare le incursioni di Zidane e Djorkaeff, c’era Mark Iuliano, due anni in più di Fiore, ma la stessa radice bruzia.
C’era anche due anni più tardi, Mark. Mentre suo padre Alfredo imperversava ospite su Raiuno delle “Notti mondiali” di Luisa Corna, lui viveva la seconda Corea della storia azzurra, quella amara dell’arbitro Moreno che negli ottavi di finale dava una mano ai padroni di casa asiatici per rispedire a casa l’Italia. Ahn il trottolino beffò gli azzurri saltando più in alto di Paolo Maldini. Iuliano, in quell’azione che divenne emblema della disfatta non c’entrava: magra consolazione, da sommare a quella di aver sperimentato un’avventura mondiale insieme ad un guru come Giovanni Trapattoni. Il Trap c’era anche due anni dopo, in Portogallo per l’europeo che fece assaggiare la gloria alla Grecia e il “biscotto” all’Italia. Fu l’anno del chiacchieratissimo pareggio per 2-2 tra Svezia e Danimarca che inchiodò già nella fase a gironi le ambizioni azzurre. Antonio Cassano segnò un inutile gol alla Bulgaria al 90’. Poi pianse. E con lui di nuovo Stefano Fiore, tornato a vestire l’azzurro per un altro europeo amaro.
L’EPOPEA DEI TRE MOSCHETTIERI – E se Iuliano aveva chiuso la sua finestra in nazionale, avevano appena cominciato ad aprirla altri due centrocampisti promettenti: uno, Simone Perrotta, nato in Inghilterra da genitori emigranti e poi rientrato a 5 anni nel paese d’origine, Cerisano, a due passi da Cosenza; l’altro, Rino Gattuso, calabrese fino al midollo, nato a Corigliano e cresciuto tra le case di Schiavonea. Il primo era sbocciato calcisticamente nella Reggina, il secondo aveva cominciato a Perugia per poi emigrare a Glasgow. In Portogallo, con quell’Italia, giocarono poco ed esultarono anche meno.
Due anni dopo, invece, si sarebbero rifatti. E’ la storia del mondiale di Germania 2006, è l’epopea che gli italiani hanno ancora impressa negli occhi, dalla sfida contro il Ghana al trionfo ai calci di rigore nella finale con la Francia. Perrotta e Gattuso l’hanno vissuta da protagonisti assoluti, titolari dell’Italia di Lippi, insieme a un terzo calabrese: Vincenzo Iaquinta da Crotone, che in quell’anno aveva giocato nell’Udinese e si era conquistato la maglia azzurra con 9 gol e una grande disponibilità al sacrificio. Segnò anche un gol nella partita d’esordio, mentre nella sfida storica ai francesi subentrò proprio a Perrotta al 61’.
Dopo quella sbornia, le due competizioni seguenti furono avare di successi, ma i calabresi hanno tenuta alta la propria bandiera: all’europeo d’Austria e Svizzera del 2008 Donadoni convocò Gattuso e Perrotta, ma il primo era squalificato nei quarti di finale persi ai rigori contro i futuri campioni spagnoli; al mondiale sudafricano del 2010 Lippi lasciò a casa Perrotta ma insieme a Gattuso richiamò Iaquinta. E per entrambi, Slovacchia-Italia 3-2, ultima amara partita del gruppo F, segnò il mesto addio alla maglia azzurra.
PASSATO AZZURRO, ORIZZONTE NERO – Non sono bastati due anni a individuare i loro eredi. E probabilmente ne serviranno molti altri, dato che all’orizzonte non si intravedono stelle calcistiche calabresi nel firmamento di serie A e B. Un problema di vivai societari, forse. Ma visto che solo Fiore a Cosenza e Perrotta a Reggio hanno cominciato a calciare in Calabria, può darsi che sia soltanto un fatto di generazione. Quella nata tra il 1973 di Iuliano e il 1979 di Iaquinta di certo è stata preziosa: ha portato alla Calabria tre ori mondiali e due argenti europei. Un record assoluto.
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