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Luca Benvenga e Sebastiano Benasso

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Il mondo della musica si spacca sulla trap, in un ventennio il nuovo genere musicale ha suscitato in egual modo amore e odio


Odi et amo avrebbe detto Catullo. Certo, riferendosi ad un sentimento nobile come l’amore ma il paragone, in questo caso, resta comunque valido. Nell’ultimo decennio il mondo della musica si è letteralmente spaccato in due: quelli che odiano la trap e quelli che la amano. E provare a capire questi sentimenti contrastanti e il perché vengano generati è l’obiettivo di Sebastiano Benasso e Luca Benvenga, curatori del libro “Trap! Suoni, segni e soggettività nella scena italiana” edito da Novalogos.

Un volume che racchiude una serie di saggi di autori vari (oltre a Benasso e Benvenga, anche Emiliano Bevilacqua, Valentina Fedele, Claudia Attimonelli, Gabriele Forte, Paolo Grassi, Davide Filippi, Sveva Magaraggia, Luisa Stagi, Matteo Jacopo Zaterini, Giulia Giorgi, Mattia Zanotti, Massimo Canevacci) che ripercorrono i tratti distintivi di questo genere musicale, provando a capire – attraverso un’analisi sociologica e una intensa attività di ricerca – questa nuova forma di espressione musicale. Un genere rappresentativo di un fenomeno sociale e di una cultura che tende sempre più ad emergere. Amato dai più giovani e «disturbante» per i meno giovani.

Ed è proprio da questo disturbo, o per meglio dire fastidio, che nasce l’idea di questo libro. Lo stesso fastidio che porta a non amare la trap, probabilmente perché genere musicale derivante dal rap ma che nei testi e nelle sonorità delude le aspettative alle quali la cultura hip hop ci ha da sempre abituati. Nonostante trap e rap in qualche modo convergano.
Sebbene la trap provochi dunque un certo fastidio, non ha esitato a imporsi nel mercato discografico. Consacrandosi così come un genere mainstream e tra i più ascoltati. Il motivo è sicuramente riconducibile al fatto che si tratta di una musica «prodotta dai giovani e per i giovani». Complice del suo successo è certamente l’impiego più facilitato di nuove tecnologie per produrre musica e la nascita di figure come quella del producer. Ma ancor più importante è l’utilizzo dei canali social per veicolare messaggi e la musica stessa e per avvicinare il pubblico agli artisti. Non è un caso se il mondo social – sebbene al suo interno convivano più generazioni – sia più popolato dalle giovani generazioni. E questo rende comprensibile il successo della trap tra i membri di quella che oggi chiamiamo Generazione Z.

Ma per comprendere bene il significato della musica trap, bisogna analizzare il contesto sociale in cui nasce e poi si afferma. Ed è ciò che hanno fatto gli autori del volume. I trapper sono coloro i quali “cantano” la loro esperienza di vita turbolenta, spesso di strada e in condizioni di marginalità, di emarginazione. Non a caso spesso il trapper è colui il quale proviene dalla periferia più degradata – o perlomeno così ne racconta – o che ha vissuto in un contesto di immigrazione (spesso essendone lui stesso protagonista) e che a sua volta lo ha condotto in un contesto di ghettizzazione.

È da questi cotesti sociali che i testi e le sonorità trap hanno origine. Uniti poi ad un forte sentimento di riscatto tipico dei trapper che ce l’hanno fatta e che si trovano a scrivere e a ostentare le loro ricchezze conquistate. Ma tutto questo è anche ciò che consente ai giovani fruitori del genere di identificarsi, rendendo così la trap il manifesto di una sottocultura.
La ghettizzazione, i contesti di marginalità, sono in un certo senso tipici del rap e della cultura hip hop nata proprio come forma di denuncia. Nel caso della trap invece, non c’è nessun “impegno” e quindi, a differenza del rap, non è nessuna controcultura ma solo un modo per «comprendere le crepe sociali e generazionali contemporanee».

A garantire il successo della trap ci sono quindi i social network e le piattaforme digitali sulle quali si fruisce la musica. Per comprendere questo fenomeno, nel volume “Trap! Suoni, segni e soggettività nella scena italiana” viene analizzata la drill, sottogenere della trap. La densa capacità comunicativa attraverso i media digitali caratterizza un driller, che utilizza queste forme comunicative per creare la propria reputazione attraverso il riscatto sociale e mantenerla sotto gli occhi di tutti.

Questo aspetto della comunicazione attraverso i nuovi media, specie i social network, mette in luce come, più che i contenuti veicolati attraverso i testi dei brani, sia il modo di fruirne a portare il pubblico ad “affezionarsi” ad un preciso contenuto, che non viene letto nel contesto totale dell’intero brano ma che rimane una porzione di testo e musica fine a se stesso, della durata di 30 secondi o un minuto, quanto un tik tok o un reel. Ed è proprio questo che rende la trap un genere direttamente collegato alla Gen Z e forse poco comprensibile e compreso dai meno giovani che – vittime anche di un pregiudizio – quasi ne rinnegano l’esistenza o vorrebbero farlo.

Questi sono solo alcuni dei punti analizzati in questo libro che prova a decodificare i linguaggi di un genere musicale per alcuni incomprensibile. E lo fa attraverso un linguaggio complesso che ne rimarca però il senso di un’altrettanta complessa attività di ricerca esplicata con l’analisi sociologica e antropologica di testi e sonorità, di contesti storici e sociali, di contraddizioni e controversie che alimentano il dibattito sulla trap e su una intera generazione che questo genere racconta.

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