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Mimmo Cavallaro

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L’intervista al cantautore calabrese, Mimmo Cavallaro, che a 7 anni dal suo ultimo album torna con un nuovo progetto discografico: “Mirjiu”


È il più autorevole interprete della musica popolare calabrese e ritorna con un nuovo progetto discografico a distanza di 7 anni dal suo ultimo disco. Mimmo Cavallaro lo scorso 5 luglio 2024 ha pubblicato “Mirjiu”, album da lui prodotto e distribuito da iCompany. Undici brani in dialetto calabrese e uno in italiano che raccontano le bellezze di questa terra, con gli strumenti tipici della tradizione musicale della Calabria. Un album ricco di collaborazioni, “Mirjiu”, che è proprio Mimmo Cavallaro a raccontarci.

Un nuovo disco dopo 7 anni. Come si sente?

«Mi sento come uno che è in attesa di vedere un risultato dopo un bel po’ di lavoro, dopo tanti anni di impegno ed energie. Nasce dalle mie idee, dalle mie scritture e composizioni ma è anche frutto degli arrangiamenti che i miei musicisti hanno portato avanti contribuendo all’ottimo risultato».

Si intitola “Mirjiu” ed è un susseguirsi di brani che raccontano di personaggi noti all’immaginario collettivo calabrese…

«Non sono personaggi celebri ma persone come “Giamba u violinista” conosciute in ambito ristretto, che non hanno mai avuto celebrità ma che sono rimaste nella memoria della gente. In questo caso è un signore che abitava nel centro storico di Caulonia, che non ho mai avuto il piacere di conoscere ma che tra i paesani era molto conosciuto, era un violinista abbastanza bravo dicono. Non c’è traccia di sue canzoni, lui suonava per il puro piacere di farlo. Ed è rimasto impresso nella gente anche per la sua fine tragica che è quello che ha ispirato la mia voglia di far uscire dall’anonimato questa storia».

È anche un album che racconta le meraviglie della Calabria e questo lo si capisce anche dal titolo?

«“Mirjiu” è uno stato d’animo più che altro del gregge, le capre dopo aver pascolato per una giornata si ritrovano in un luogo appartato al fresco e stanno lì a ruminare e a guardare il paesaggio attorno. “Mirjiu” significa questo, guardarsi intorno per il gusto di farlo, senza un obbiettivo, solo ammirare il paesaggio che ci circonda. Che è un po’ quello che potremmo fare in questo momento: stare a guardare ciò che succede intorno a noi nel mondo».

Guardarsi attorno è quello che ha fatto lei per scrivere questo album?

«Più che guardarmi intorno mi sono guardato dentro, tirando fuori le emozioni, i ricordi del mio passato, le suggestioni che ho vissuto in questi luoghi della Calabria dove continuo a vivere, soprattutto perché sono nato in una zona abbastanza isolata, rurale, dove non c’era molto da attingere dal resto del mondo ma che solo la natura e gli uomini di quel luogo potevano darci».

Nel disco ci sono numerose collaborazioni (Davide Van De Sfroos, Marcello Cirillo, Jamal Oassini, Antonella Ruggiero, Kento) con artisti che hanno segnato il suo percorso. Da chi è partita l’idea?

«In questi anni ho avuto il piacere e il privilegio di condividere il palcoscenico con diversi artisti di livello nazionale. Specialmente con il nostro festival di Caulonia (Kaulonia Tarantella Festival; ndr), che risponde all’esigenza di far incontrare la tarantella calabrese con altri generi musicali. Questo mi ha permesso di incontrare artisti che non fanno parte del panorama della musica popolare. Tutto ciò mi ha fatto pensare che era necessario condividere questa collaborazione in un progetto discografico e non appena ho accennato questa idea, sono stati felicissimi di dare il loro contributo affinché la musica calabrese avesse un respiro più nazionale».

Tra le collaborazioni c’è anche quella con il rapper reggino Kento, nella traccia che dà il titolo all’album. È forse questo brano l’emblema della contaminazione musicale che caratterizza il disco e tutta la sua musica?

«Si, in questo brano la contaminazione è molto più presente e più forte. Ritmicamente si presta a una contaminazione di quel genere e penso sia la traccia più rappresentativa del lavoro di innovazione e contaminazione che stiamo portando avanti».

Tipico del suo stile è anche l’utilizzo di strumenti della cultura calabrese in chiave moderna. Come nasce questa volontà?

«È iniziato tutto tantissimo tempo fa, quando la musica popolare calabrese era vista solo come la musica dei villani. Ma lì ho capito che la musica del sud, della Calabria, il ritmo della tarantella aveva qualcosa di unico e che bisognava portarla avanti. Ho cercato di farlo e di mettermi in gioco, non per il pubblico, non ci pensavo proprio, ma perché sentivo la voglia e l’esigenza di dedicare le mie energie a questa musica che mi apparteneva, mi appartiene e mi apparterrà. Anche perché è stata la musica che ho conosciuto da bambino, ma anche quando ho iniziato a suonare e ad avere più coscienza ho capito che le mie energie dovevo spenderle in quella direzione. E questo mi ha portato ad andare avanti, a far conoscere la musica calabrese e gli strumenti tradizionali di questa regione che suonati con gli strumenti moderni danno un sound che fino ad ora non era conosciuto».

Ci sono live in programma per ascoltare “Mirjiu” dal vivo?

«Assolutamente sì. Ci sono tantissimi concerti già in programmazione. Saremo in giro per la Calabria ma anche a Taormina, a settembre tra la Lombardia e il Piemonte e in autunno un tour in Australia. Insomma, tra il disco e i concerti sarà un anno impegnativo».

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