Nino Larocca insieme al regista de “Il buco” durante le riprese (foto di Antonio Larocca)
7 minuti per la letturaDal palco del 78° Festival del Cinema di Venezia, il regista del “Il Buco”, Michelangelo Frammartino, ha incluso nei ringraziamenti alla Calabria (GUARDA IL VIDEO) anche quelli per lo speleologo Antonio Larocca.
Ma chi è Antonio Larocca, per gli amici Nino? Da oltre 40 anni è socio del Gruppo Speleologico “Sparviere” di Alessandria del Carretto (CS), fondato nel 1976 e di cui più volte è stato presidente e curato da solo o in collaborazione con altri, diverse campagne di studio e ricerca in ambito sismo-speleologico, bio-speleologico, geomorfologico, speleo-cinematografico, topografico ed esplorativo in Italia (Calabria, Puglia, Sicilia, Basilicata, Alto Adige, Sardegna, Liguria, Emilia) e in Grecia (Attica, Peloponneso). Tra l’altro, il Gruppo speleologico “Sparviere” cura, sin dalla fondazione, il Catasto delle Grotte d’Italia, Regione Calabria e ne ha accatastato ad oggi circa 200, tutte corredate da descrizioni, rilievi, analisi e documentazione fotografica.
I soci dello “Sparviere”, hanno partecipato ad esplorazioni extraterritoriali nelle Murge pugliesi, negli Alburni salernitani, nel Peloponneso greco, nel Chiapas messicano, nei Pirenei francesi, contribuendo con tali esperienze, oltre che alla vita del Gruppo, a numerosi convegni ed articoli su riviste del settore.
È socio fondatore dello Speläoclub Berlin (Germania) e da decenni sono Istruttore di Tecnica di speleologia della Commissione Nazionale Scuole di Speleologia, Regione Calabria, della Società Speleologica Italiana. Per diversi anni è stato anche volontario, nonché co-fondatore del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico Calabria. Numerose le collaborazioni con le autorità preposte alla tutela, con i ricercatori e le università, in primis con il Groningen Institute of Archaeology dei Paesi Bassi e con il Centro Regionale di Speleologia “Enzo dei Medici” di Sant’Agata di Esaro (CS). Ha curato e scritto molteplici articoli, volumi e monografie che trattano di argomenti storici, politici, archeologici, speleologici e culturali in genere. Ci lega un’antica amicizia e tale rapporto agevola l’intervista alla quale Antonio Larocca si rende disponibile. Eccola.
Frammartino ti ha pubblicamente ringraziato dal Palco di Venezia: c’é un motivo particolare per averlo fatto?
«C’è fra di noi una lunga, sincera e schietta amicizia che ha permesso negli ultimi anni, in perfetta sintonia di andare per grotte, montagne e pareti rocciose del meridione d’Italia al fine di conoscere profondamente i luoghi e le persone che li frequentavano. Abbiano diviso rischi e sacrifici notevoli, aiutandoci l’uno con l’atro, scambiando idee e pareri, ma anche passato momenti goliardici e piacevoli. Suppongo mi abbia ringraziato proprio per questo».
Che ruolo hai avuto nel film e nelle riprese che lo hanno portato al premio della giuria e altri importante riconoscimenti.
«Nel film non ho avuto nessun ruolo. Non appaio. Durante le riprese girate da agosto ad ottobre 2019, ho svolto diversi ruoli: in grotta quello di “tecnico speleologico”, “coordinatore della squadra tecnica” e “macchinista”; in generale, sia per le riprese in grotta che in quelle esterne, ho ricoperto il ruolo di “consulente creativo speleologico”. Come ha dichiarato Michelangelo durante la premiazione, sono state, le mie, le “altre due mani che si sono aggiunte”».
Come è nato il film?
«Nel 2007 ero sindaco di Alessandria del Carretto (CS), Michelangelo e la sua troupe dell’epoca facevano base in paese per gli studi e le riprese del film “Le quattro volte” (poi vincitore al Festival di Cannes). Istintivamente mi venne in mente di far conoscere a Michelangelo alcuni particolari nostri luoghi montani fra cui l’Abisso del Bifurto. Da li a poco nacque la sua idea di girare per grotte e montagne e poi di creare il film».
Frammartino parla anche del momento in cui siete stati bloccati nel “Buco” da un temporale. Era per il sopralluogo alle riprese? Ricordi l’accaduto sul quale abbiamo scritto in cronaca a suo tempo.
«Come si fa a dimenticare quel giorno, ma non per la nostra forzata permanenza in grotta. Accadde poche settimane prima delle riprese vere e proprie. Come spesso facevamo, con altri amici, siamo entrati nel Bifurto per vari motivi di studio, sia tecnici che cinematografici. Poco prima di uscire una potente piena d’acqua proveniente dall’esterno ci ha costretti a rimanere sottoterra ma in un luogo perfettamente al sicuro. Del resto eravamo preparati ad una situazione del genere e preventivamente studiammo le eventuali mosse di sicurezza, cosa che attuammo perfettamente proprio in quella circostanza. Nonostante l’allarme creato dai media, non abbiamo mai corso pericolo. Finita la piena, uscimmo con le nostre gambe, tutti in piena salute. Ammirevole però il pronto intervento del Corpo nazionale Soccorso Alpino e Speleologico, dei Vigili del Fuoco, della Misericordia, dei Carabinieri, dei sindaci».
Che sensazioni hai provato nel vedere il film?
«Io ovviamente sono di parte e se pur conoscevo a memoria e molto bene le varie scene, vederle montate, ben fatte da ogni punto di vista (visivo, sonoro e filosofico), devo dire che mi sono emozionato. Michelangelo è semplicemente un genio del cinema, come quei maestri rinascimentali, come Caravaggio. Quindi vedere dal vivo (durante le riprese) e poi il 4 settembre 2021 alla Prima a Venezia quei suoi “quadri-capolavoro in movimento con l’aggiunta di naturali melodie” è stato per me come ammirare un’opera del Caravaggio, ma, come detto, in movimento. Stessa poca luce, dove domina lo scuro, i colori pastello, i volti, i corpi, i nostri luoghi. Con l’aggiunta del bellissimo messaggio che queste scene ci trasmettono. Ma non voglio dire di più altrimenti vi rovino la sorpresa».
I premi a “Il Buco” , come li hai vissuti.
«Sinceramente mi aspettavo un ottimo risultato perché conosco molto bene la geniale maestria di Michelangelo e il saper raccontare la nostra terra. Conosco la notevole bravura, sensibilità e disponibilità di tutta la troupe (tecnici, speleo tecnici, fonici, attori, ecc.). Sapevo che un argomento come le grotte, il Pollino e i suoi bellissimi abitanti, non potevano non piacere, pertanto apprendere di quei numerosi premi vinti al 78° Festival di Venezia (la Pellicola d’oro, Green Drop Award, Fayr Play al cinema, FEDIC miglior film, premio speciale della giuria), non mi ha meravigliato. Ovvio sono stato felicissimo e come ho detto ad amici, il film per me è terminato con il Festival, l’11 settembre».
Chi ha contribuito maggiormente all’ottima riuscita del film?
«Certamente Giovanna Giuliani, altra cara amica, ma soprattutto co-sceneggiatrice con Michelangelo. Sin dall’inizio degli studi dei luoghi, dell’idea-film è stata con noi a sacrificarsi, a rischiare moltissimo: una vera forza della natura. Difficile fare il film senza di lei. Stessa cosa Marco Serrecchia e Raha Scirachi, della Doppio Nodo di Roma: sacrifici a non finire. Poi tantissime altre persone che sarebbe impossibile ricordare tutti: la popolazione locale, la troupe, i produttori, la magnifica squadra speleo-tecnica. Poi i vari enti del territorio: i comuni di San Lorenzo Bellizzi, Cerchiara di Calabria e la lucana Terranova del Pollino, l‘Ente Parco Nazionale del Pollino, i vari Comandi dei carabinieri forestali».
Parlaci dei luoghi del film
«Devo dire che sul web si è fatta un po’ di confusione. Il film è stato girato non solo in Calabria. È stato girato nella parte centro-orientale dei monti del Pollino, sia in Calabria che in Basilicata, ed in modo particolare nei territori comunali di San Lorenzo Bellizzi (CS), Cerchiara di Calabria (CS) e Terranova di Pollino (PZ). Brevi riprese sono state poi anche eseguite fra Civita (CS) e Frascineto (CS), ma anche in agro di Trebisacce (CS) e nel reggino grecanico. Le riprese legate alla speleologia sono state girate sia nell’Abisso di Bifurto che nella Grotta di Serra del Gufo di Cerchiara di Calabria, ma anche nell’inghiottitoio del Trabucco del Pollino che ricade in agro di Terranova (Basilicata)».
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