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Michelangelo Frammartino

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«Spero che per gli spettatori sia davvero un film immersivo», dice Michelangelo Frammartino a Venezia presentando il suo film “Il buco”, in concorso alla Mostra e che sarà proiettato tra poche ore per il pubblico, dopo l’anteprima di ieri per la stampa.

In conferenza stampa con il regista ci sono i produttori, e tra il pubblico Giulio Gecchele e Giuseppe De Matteis, autori dell’impresa a cui si ispira il film, la scoperta della grotta dell’Abisso del Bifurto nell’altopiano del Pollino.

Furono loro a guidare l’avventurosa spedizione del Gruppo Speleologi Piemontesi, che nel 1961 scese a settecento metri nelle viscere rocciose della terra. Fuori esplodeva il boom economico, lontano chilometri da quel selvatico hinterland calabrese, a Nord. «In Italia era il tempo della verticalità e della luce – spiega Frammartino – e gli eventi sotto i riflettori in quegli anni erano la conquista del K2, Gagarin sulla Luna. Tutta l’attenzione era verso l’alto e l’azione di questi speleologi è rimasta sottotono, in questo senso era meno spendibile mediaticamente. In contraltare a quella luce in questo film c’è buio e silenzio».

Un film che porta all’estremo il linguaggio cinematografico arcaico di Frammartino. Niente dialoghi né musica, ma stavolta le scene sono persino avvolte dall’oscurità. Il regista e la sceneggiatrice Giovanna Giuliani si sono preparati alla stesura dello script calandosi dentro la grotta, interamente (le riprese invece si sono fermate a 400 metri).

«È stato un modo – continua Frammartino – per entrare nell’immagine come vorrei accadesse a chi guarda il film. Tra l’altro mi sono fatto prestare gli strumenti del mestiere perché interessava ripetere anche con la tecnica giusta il gioco di squadra che fu fondamentale in quella spedizione. Credo che la speleologia e il cinema in questo siano simili, è in entrambi i casi il lavoro di un gruppo».

Giovanna Giuliani aggiunge: «Entrare nella grotta è stata quasi un’esperienza di body art, rivivere fisicamente la storia per poterla scrivere con uno stato emotivo reale. Abbiamo poi lavorato sui bollettini e gli articoli di giornale del tempo, ma soprattutto abbiamo parlato con la gente di Cerchiara, con chi da bambino aveva visto arrivare questi strani signori che per loro erano interessati a una cosa inutile. Erano come monelli che vanno a ficcarsi dove non si dovrebbe andare e senza un motivo preciso, perché lì sotto non c’erano diamanti o petrolio. Questa storia è raccontata dal punto di vista del sud, l’unico luogo dove l’impresa fece notizia».

Nord e Sud sono due rette esistenziali parallele. «Sono nato a Milano – dice ancora Michelangelo Frammartino – ma non è indicativo, io sono calabrese e si sa che i calabresi nascono ovunque. Gli anni Sessanta furono il momento in cui mio padre capì che doveva andare via. Oggi dalla Calabria si parte ancora. Non per lavoro come allora ma per studio. O per curarsi. Si continua a dover andare via».

Sei settimane di ciak, intense e sfiancanti nella grotta più profonda d’Europa. Sette ore per penetrare il Bifurto, cavità a picco e priva di meandri, e appena un’ora di girato, poi la lunga risalita, ogni giorno. Gli attori (tra cui veri speleologi) che iniziano a scendere con le corde ma poi imparano anche a usare le scalette degli specialisti.

Un film realizzato con il sostegno della precedente Calabria Film Commission, che avrà risonanza internazionale e successo di pubblico. Ne sono certi i produttori, che non si sono fatti intimorire dalle caratteristiche narrative dell’opera.

Scherza Frammartino: «Con Raicinema la proposta è stata quasi una gag. Ho detto “facciamo un altro film senza dialoghi e ora tolgo pure la luce”. Ma loro si fidano di me, non ho ancora capito perché».

Conferma Paolo Del Brocco: «A un progetto così appassionato non si poteva dire di no, la proposta era di un corpo a corpo con il territorio, molto entusiasmante, non abbiamo mai avuto dubbi… e poi mi piace molto che Michelangelo dica che è un film che va visto in sala». E il francese Philippe Bober è dello stesso parere: «È un film profondo… in tutti i sensi, molto originale. Del resto erano così anche i precedenti di Frammartino e li abbiamo sempre venduti molto bene in molti paesi. E poi qui qualche parola c’è… una frase! »

Nel parterre della sala stampa i veterani Gecchele e De Matteis, capelli bianchi ma verve da ragazzini, si preparano all’inedita esperienza del red carpet di stasera. «Avevo chiesto di portare una bandiera con un pipistrello, un simbolo delle grotte – protesta Gecchele – ma il protocollo non lo consente. Mi hanno detto che nel film non ci sono dialoghi e non ci sono attrici, solo buio. Vedremo come sarà…».

Ricordando la natura meravigliosa del Sud, De Matteis dice: «Zone come il Pollino non ne ho mai più viste. Ma è stata anche la scoperta di una cultura antica, incredibile e contraddittoria. Un giorno vedendo che con noi c’erano due donne alcuni pastori ci portarono dei cavalli in modo che loro non camminassero a piedi su quei sentieri. Era un mondo arretrato e povero come quello raccontato da Levi in Cristo si è fermato ad Eboli, ma ricco di umanità».

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Francesco Ridolfi

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