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COSENZA – Quel ramo del lago Cecita è laggiù, dai 1788 metri del Monte Curcio. L’estate finisce ma ci lascia con una delle sue giornate più assolate. Qui, su un pianoro che mai aveva visto tanta gente tutta insieme, in una Woodstock dell’Altopiano, si è svolto il Concerto per il Demone Meridiano di Vinicio Capossela organizzato da Archimedia e Piano B.
L’arrivo sul posto è con l’ovovia dell’Arsac. Stand gastronomici a cura del Gal, concerti e balli con gruppo folk di Alessandria del Carretto. Sul rimorchio d’un trattore, set del cantautore Michele Scerra e suoni pastorali ambient di Gianfranco De Franco. Nel frattempo: chi va per funghi, chi per more, chi si stende sui plaid per un picnic. Poi ci si sposta nella grande radura in fondo alla quale è stato allestito il palco per il concerto. Sembra un’invenzione filmica alla Tim Burton, invece è vero. Alle 15,15 arriva Vinicio Capossela: tunica bianca e cappello nero, barba da saggio ortodosso chassidico. “Non avevamo mai suonato a questa altezza, né a quest’ora”. Solstizio d’autunno, momento di passaggio: l’idea del concerto, nella “controra” senza ombra, è restituire importanza allo scorrere del tempo e delle stagioni. C’è, come sempre in un concerto di Capossela, qualcosa di ancestrale e magnetico. E qui anche più, nell’abbazia di faggi in cui siamo. Magia di evento più luogo. Si inizia con la maestosa “Non trattare”, dieci minuti d’invocazione guerriera, per introdurre i pericoli del Demone Meridiano: accidia, (“Job”, western della controra), la sbornia pomeridiana che costò cara a Polifemo (“Vinocolo”), l’ora libidinosa della lussuria (“Calipso”; “Pryntyl”), il senso di torpore e esposizione alle debolezze (la conradiana “Lord Jim”, “Abbandonato”). Capossela allestisce un evento unico, produzione ad hoc pensata per la prima edizione di “La Sila Suona Bee” con un gruppo inedito: i due musicisti greci Labis Xylouris (oud, boulgari) e Kostas Skoulas (lira cretese), Gavino Murgia a fiati e effetti vocali; il calabrese Francesco Loccisano alla chitarra battente; “Asso” Stefana (basso e chitarre), Zeno De Rossi (batteria). I musicisti accarezzano gli strumenti, il rispetto per la montagna e lo spirito della giornata suggeriscono dinamiche sommesse.
I 2.000 spettatori arrostiti stanno seduti per metà concerto, poi il demone della danza impone di alzarsi. L’esibizione è una cavalcata lenta, carismatica, nei miti dell’epica mediterranea, sirene minotauri indovini ciclopi, e dei riti stagionali contadini: la mietitura del meriggio, la fatica del grano nei campi infuocati. Le letture dall’Ecclesiaste e da Leopardi si alternano ai proverbi raccolti dal cantore pugliese Matteo Salvatore. Il formidabile rito di possessione “Il ballo di San Vito”, altri dieci minuti di trance dionisiaca, libera dal Demone Meridiano. Nel bis Capossela cita “La rosa nel bicchiere” del poeta cosentino Franco Costabile, il frinire delle cicale fende la calura. La grazia malinconica di “Ovunque proteggi” precede il finale, dopo 2 ore e 20, il samba languido e assetato di “Camera a Sud”: tornare “a Sud di sé” è l’unica direzione possibile. Evento emozionante e riuscitissimo. Si potrà migliorare, con maggiori risorse che renderanno la fruizione dei servizi più snella e scorrevole. Quando la politica degli enti pubblici e una maggiore volontà di fare rete raggiungeranno l’intuito “visionario” degli organizzatori. Intanto registriamo: qualcosa di straordinario e bello è possibile. Anche qui.
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