8 minuti per la lettura
ROMA – Sarà pure il personaggio che, più di ogni altro, gli ha dato notorietà ma, certo, “Il commissario Montalbano” è diventato un nome un po’ ingombrante nella carriera di Luca Zingaretti. Al punto che ieri mattina, alla conferenza stampa di presentazione de “Il giudice meschino” (Raiuno, lunedì 3 e martedì 4 marzo, in prima serata), ha anticipato le domande dei giornalisti e si è lanciato da solo nel paragone tra i due personaggi. «Prima di leggere il libro di Mimmo Gangemi (da cui è tratta la miniserie, ndr), non ero sicuro di voler interpretare un altro investigatore espresso da una terra del sud infestata da una delle malavite più potenti del mondo».
Il libro e la presenza del regista Carlo Carlei lo hanno convinto e Zingaretti si è calato nei panni di Alberto Lenzi, giudice “meschino”, nel senso siciliano del termine cioè, spiega l’attore, «poveraccio, uno che ha smesso di pensare alla sua vita». E anche, come aggiunge lo scrittore, «un indolente e femminaro». Che, per Zingaretti, ha poco a che fare con Montalbano: «Non esistono due tipi così diversi. Montalbano vive in un luogo immaginario, legato ai ricordi di gioventù dell’autore. Appartiene più al mondo dell’arte e anche le sue tematiche personali non prevedono nè un rapporto stabile nè una paternità». Altra cosa, insomma, da Alberto Lenzi, giudice in terra di Calabria che si ricorda di essere un magistrato solo dopo lo choc per l’uccisione del suo migliore amico, magistrato anche lui.
Gli argomenti per piacere al pubblico della fiction ci sono tutti perchè, come sostiene il direttore di Rai Fiction Tinni Andreatta, «è una storia di riscatto e di rinascita di un antieroe, di un servitore ignavo dello Stato che fa un percorso personale di riscoperta»: il protagonista, infatti, è separato dalla moglie e ha, almeno inizialmente, un rapporto col figlio piccolo non proprio da manuale; ha una relazione con un’affascinante maresciallo dei carabinieri (Luisa Ranieri moglie di Zingaretti nella vita) con cui condivide il lavoro ma non la volontà di dare una stabilità al loro rapporto; lotta contro il male, rappresentato dalla ‘ndrangheta (a sua volta lacerata da conflitti interni, tra la vecchia e la nuova guardia) e dal traffico di scorie radioattive. «E’ la prima volta che in una fiction entrano i chiaroscuri, non solo del protagonista ma anche, ad esempio, dell’accenno ai servizi segreti deviati. Mi è piaciuta l’idea di portare in tv un uomo come Lenzi, uno che ha smesso di pensare alla sua vita, ha smesso di decidere finchè qualcosa, la morte del suo amico, non lo sveglia».
In più, si parla di giudici, «in un periodo in cui il giudice è un’istituzione della Repubblica che è sotto accusa, che ha avuto un’infinità di caduti, un numero quasi imbarazzante in un Paese democratico». Nel quale, assicura, «esiste una formula infallibile per uscire dalla crisi: tutti invocano misure drastiche, io penso che basterebbe che ognuno di noi ricominciasse a fare il suo dovere».
Al fianco di Zingaretti, a nove anni dall’esperienza di Cefalonia sul quale si conobbero e si innamorarono, c’è sua moglie Luisa Ranieri che del maresciallo Marina Rossi dice: «Lei non stima Alberto, non capisce perchè si comporta in modo così indolente nella vita e nel lavoro». Nel cast, oltre ai protagonisti, ci sono tra gli altri: Andrea Tidona (il pubblico ministero Giacomo Fiesole), Paolo Briguglia (Michele Brighi), Gioele Dix (il magistrato amico di Lenzi Giorgio Maremmi) e Maurizio Marchetti, il vecchio capobastone della ‘ndrangheta don Mico Rota. Alla presentazione in platea anche il presidente della Regione Calabria Giuseppe Scopelliti e il colonnello dei carabinieri Angelo Desideri. La proiezione della fiction verrà anticipata, a Reggio Calabria, con un’anteprima nazionale che si terrà al Teatro Francesco Cilea sabato 1 marzo. Un omaggio alla città che è stata scelta, per il fascino dei luoghi e la bellezza dei Palazzi del centro, come set delle scene del film. Il regista Carlei fa notare: «Il racconto parla della redenzione del giudice Lenzi che si sottrae alla meschinità di chi si è arreso e poi invece rialza la testa trovando il coraggio di fare il proprio dovere, e vuole essere una parabola per tutti quelli che sono stanchi di subire passivamente ingiustizia e corruzione».
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA