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VIBO VALENTIA – Ventisette anni e il bisogno di raccontare attraverso la musica le storie di una generazione dal futuro evanescente. Una generazione che si innamora, sogna e cerca di trovare una stabilità in un mondo sempre più in bilico e privo di punti di riferimento. Domenico Scardamaglio, in arte Scarda, è un giovanissimo cantautore vibonese, classe ’86, nato a Napoli, ma cresciuto a Vibo, venuto alla ribalta grazie alla rete ed al successo ottenuto dal brano “Sono stanco di crescere”. Nel giro di poco tempo, pur non avendo ancora pubblicato un album, i suoi brani sono stati molto ascoltati e conosciuti, soprattutto in streaming. E di recente il regista Sydney Sibilia, dopo aver ascoltato la sua musica, ha deciso di affidargli la title song del suo primo film importante: “Smetto quando voglio”, nelle sale dal prossimo 6 febbraio (fra gli attori Valeria Solarino, Edoardo Leo, Libero De Rienzo, Pietro Sermonti e Neri Marcorè). Ecco, allora, una nuova canzone, con lo stesso nome del film, elaborata da Scarda sulla base della sceneggiatura.
Laureato in Scienze Giuridiche, dice di considerare i suoi brani come «ritratti interiori di persone». Una volta Mogol ascoltando per caso l’esecuzione di “Mario il Precario” (ASCOLTA IL BRANO), a un convegno in Calabria, gli fece i complimenti accostandolo a Rino Gaetano. Oggi il giovane cantautore è molto conosciuto fra i ragazzi vibonesi, anche se da qualche tempo vive prevalentemente a Roma.
Se dovessi raccontare la storia della tua vita da dove cominceresti?
«Direi dalla nascita: 16 marzo 1986, Napoli. La mia famiglia è originaria di lì, ma ho sempre vissuto a Vibo prima di iniziare l’università».
Quando hai iniziato a scrivere canzoni?
«Le ho sempre scritte, ma erano brutte e comunque le tenevo per me. La prima volta che ho avuto la percezione di aver scritto qualcosa di rilevante è stato nell’estate del 2010. E infatti due anni dopo (marzo 2012) sono uscito fuori con questi pezzi. Fin lì ero stato rincorso dai miei sogni. Ora è il contrario».
Musicalmente parlando, se non qui dove ti sarebbe piaciuto vivere?
«Son contento di essere vissuto qui, anche se è difficile frequentare persone con aspirazioni intellettuali o artistiche. Per questo ho capito quanto mi mancasse un ambiente culturalmente creativo. Penso anche, però, che se fossi cresciuto in un ambiente del genere, nelle mie canzoni avrei parlato di cose che non importano a nessuno. L’arte che parla di arte è sterile».
Ti ispiri a qualcuno? Qual è il cantautore vivente che ti piace di più?
«Il cantautore vivente che mi piace di più credo sia Vinicio Capossela. Ma i miei punti di riferimento principali sono De Andrè, Battisti e Dario Brunori. Ovviamente ispirarsi a loro non significa ritenersi allo stesso livello».
Segui il festival di Sanremo? Se dovessi scegliere un tuo brano per presentarlo all’Ariston, quale preferiresti?
«Sanremo lo seguirei di più, ma sul divano trovo ogni anno persone che non lo guarderebbero per alcun motivo al mondo e hanno anche ragione: c’è poca qualità e vedo che inventano cose sempre più strane per renderlo meno noioso. Sulla mia canzone, gli ascolti su Youtube suggerirebbero “Io lo so” o “Gina” o “Michele è matto”, ma io porterei “Mario il precario”. Sanremo è una competizione sporca, vai avanti con grosse raccomandazioni, però è anche un’arena popolare e se ti fai amico il pubblico puoi fare buone cose. Il pubblico, si sa, vuole essere intrattenuto e ho notato nelle mie esibizioni dal vivo che “Mario” è un pezzo che intrattiene e diverte. Insomma, alla bassezza morale del sistema Sanremo risponderei con un colpo altrettanto basso».Che cosa speri per la tua carriera? «Che sia fortunata e veloce!».
Che cosa racconta la tua musica e quando pensi di pubblicare il tuo primo album?
«Le mie canzoni prevalentemente dipingono personaggi comuni: l’ubriacone col cuore spezzato, la ragazza che la dà a tutti, quello che è stanco di fare ogni giorno le stesse cose. Il disco non l’ho ancora fatto perché vorrei che ci stesse qualcuno dietro, io non sono un produttore e non voglio “produrmi”. Ho iniziato da poco, prima o poi qualcuno si interesserà».
La title song del film di Sibilia può essere l’inizio di qualcosa di più importante?
«Il regista Sydney Sibilia ha beccato per caso la mia musica e gli è piaciuta molto, così un giorno convocandomi alla Fandango e passandomi la sceneggiatura mi ha detto: “Vedi cosa ti viene in mente”. Ho scritto il pezzo, gli è piaciuto e lì ho provato grandissima soddisfazione. Prima che la cosa fosse ufficiale, però, son passati molti mesi. La produzione era importante, i meccanismi lunghi e complicati, quando è arrivata la notizia a fine novembre ho provato grandissimo sollievo per il termine di questa estenuante attesa. Potrebbe essere l’inizio di qualcosa di più importante, ma in questi casi è meglio star zitti…»
Oltre gli apprezzmenti avrai ricevuto delle critiche. Qual è stata la più giusta e costruttiva che ti hanno fatto?
«Sarò presuntuoso, ma è raro che mi arrivino critiche che reputo degne di attenzione o autorevoli, ma ogni tanto grazie a Dio succede! La critica più costruttiva è stata: “si sente che la voce non è spontanea”. Quando ho capito, nelle successive registrazioni ho ovviato al problema. Era vero!».
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