A VEDERLO oggi, con quegli occhiali rettangolari dal sapore rètro e quel taglio anni Ottanta non si direbbe di trovarsi davanti una leggenda. Eppure basta pronunciare il suo nome e legarlo alla band che ha fondato e la leggenda prende forma: David Knopfler. Dire Straits. Tra un mese esatto la leggenda prenderà anche vita nell’arena dello Stretto con il concerto organizzato per Fatti di musica di Ruggero Pegna. Accanto a David Knopfler la sua band: Martin Ditcham, batteria, Pete Shaw, basso, Harry Bogdanovs, chitarre. Il cofondatore e componente del celeberrimo gruppo dei Dire Straits arriverà in Italia a luglio per pochi attesissimi concerti del suo “Electric Guitar Tour”, in contemporanea con il fratello maggiore Mark, che suonò nel palasport reggino nel giugno del 2005. Per una bella coincidenza i due ex Dire Straits suoneranno nel nostro Paese negli stessi giorni, regalando ai tantissimi fan italiani le intramontabili perle che resero la band amata in tutto il mondo. David Knopfler, cantante e chitarrista, fondò i Dire Straits insieme al fratello nel 1977, incidendo con loro brani leggendari della storia del rock, come Sultans of swing, Water of love, Where do you think you’re going?, Communiqué, Lady Writer e molti altri, fino a parte della registrazione di Making Movies. Da solista ha poi inciso ben dieci album, dal primo accattivante Release agli affascinanti e poetici Ship of Dreams o Song to the Siren, che contiene hit come Street Wheels, Drowning Pool e The Love of your Life. Il “sultano dello swing” manca dall’Italia da circa vent’anni. Ce lo racconta lui stesso. «L’ultimo concerto che ho fatto in Italia è stato diversi anni fa, come narratore di una poesia intitolata “Morning in Iowa” del poeta americano Robert Nathan, messo in musica dal compositore italiano Mario Castelnuovo-Tedesco. Tuttavia, l’ultima volta che mi sono esibito in Italia facevo promozione per Edel per Wishbones, mentre per quanto riguarda i concerti dal vivo si deve andare indietro alla metà degli anni ottanta».
Qual è il suo rapporto con l’Italia?
«L’Italia è uno dei soli tre posti al mondo dove potrei immaginare di vivere e stabilirmi nei miei ultimi decenni. Ha un rapporto meraviglioso con la vostra terra per la sua storia, la cultura e la gente. Il fatto, poi, che si possa trovare un ottimo posto per mangiare in quasi ogni paese, non fa male. Ci sono innumerevoli piccoli luoghi affascinanti in Italia, ancor prima di iniziare a parlare della bellezza strabiliante di Firenze o Venezia. Sono impaziente di ritornarci».
Dopo i primi anni a Glasgow, ha vissuto a Newcastle. Quali sono i suoi primi ricordi d’infanzia?
«Ho tanti ricordi dalla nascita in poi … ma per la maggior parte, evaporano dietro di me come una scia. Credo che l’unica cosa che unisce le due città sia la vicinanza a un corso d’acqua, un tema che ha influenzato molto i miei lavori».
Qual era il suo mito da bambino?
«Da circa sette anni volevo essere Tony Meehan dalle Ombre e poi Dave Clark dalla Dave Clark Five. Poi ho iniziato a suonare la chitarra accompagnando un cantante folk. a 14 anni suonavo nei folk club locali. Dylan è stato il mio primo vero punto di riferimento. Mia sorella aveva sei anni più di me e ha portato a casa “Freewheelin” and “Times they are a-changin”. Ma all’inizio degli anni Sessanta arrivarono una grande varietà di nuovi suoni, dai Kinks, i Beachboys, gli Stones e naturalmente nel dicembre 1966 arrivò Hendrix, un’icona di stile che da sola è stata la contro-cultura personificata».
Nel 1977 sono stati formati i Dire Straits. Chi ha deciso il nome della band?
«Penso che sia stato Pick Withers».
Dopo i primi due album e durante la registrazione del terzo, ha lasciato la band. Cosa accadde?
«Dopo aver fondato la band, che avevo immaginato essere un veicolo per la mia creatività musicale mi sono reso conto che era diventato sempre più problematico e difficile trovare spazio nella macchina ben oliata sulla quale Mark ha avuto sempre il predominio. Invece di battere la testa contro un muro di gomma ho cercato un’altra direzione»
Guardando indietro, ha mai qualche rimpianto?
«No, nessuno. Mi mancano solo gli incassi dei diritti d’autore che avrei percepito se fossi rimasto un po’ più a lungo».
Oltre a comporre musica, lei scrive anche poesie. È una naturale estensione dell’essere cantautore?
«Non proprio, le due arti hanno forme molto diverse. Imparare il banjo non vi aiuterà molto a suonare il sax, e così sono pochi i cantautori che hanno un cross-over in poesia o in letteratura. Ho scoperto presto che le cose che vanno bene per una canzone renderebbero brutta una poesia. Importante nella poesia è evitare il populismo e i cliché, in una canzone, a volte, queste frasi vanno bene».
Lei è un sostenitore di gruppi ambientalisti, questo si riflette nelle sue canzoni?
«Generalmente no. A volte avviene en-passant, come nella canzone “America”, che è in primo luogo una canzone d’amore, ma che ha delle sfumature politiche, se le cercate. Ma se uno si pone come obiettivo una dichiarazione politica e vuole farlo stare in piedi come un pezzo d’arte raramente ci riesce. Mi viene in mente solo un’altra canzone, tra le centinaia che ho scritto, che punta il dito politicamente. Detto questo, bisogna anche fare i conti con il fatto che la mediocrità politica è spesso figlia della nostra passività».
Che musica le piace ascoltare a casa?
«Io tendo ad apprezzare il silenzio, il 99% del tempo. Molto raramente potrei imbattermi in qualcosa che mi ispira – come una traccia di Ry Cooder o una canzone di Randy Newman … che mi potrebbe convincere di nuovo ad andare al mio pianoforte o imbracciare la chitarra, ma in generale mi piacciono quantità di niente in modo che quando ho qualcosa da dire, questa avrà lo spazio per respirare».
Come fa a rilassarsi quando non lavora?
«Sono un pendolare, continuamente in viaggio tra il Regno Unito e gli Stati Uniti, cosa un po’ implacabile che non lascia molto spazio per gli hobby, ma posso trascorrere un paio d’ore su Internet senza troppe difficoltà e cerco di lasciarmi del tempo per la palestra e per la cucina sana».
C’è ancora spazio per i tour mondiali o medita un ritiro?
«Avendo appena compiuto i 60 anni, c’è sicuramente qualcosa che mi spinge a fermarmi. Se avessi un monolocale completamente funzionante e vivessi in un unico luogo, potrei pure ridurre le mie esibizioni dal vivo, ma il 2014 è già al completo in una certa misura, quindi vorrei avere la possibilità di tracciare una linea nella sabbia in una data arbitraria del futuro e dire “niente più prenotazioni”. Ma adesso non mi sembra di essere ancora pronto a farlo».
Una fortuna per chi avrà la possibilità di godersi il concerto di Reggio Calabria, anche perché, più rari rispetto a quelli del fratello Mark, i tour internazionali di David Knopfler sono degli autentici imperdibili eventi per chi ama ancora i suoni della celeberrima band, ma anche per chi vuole scoprire i diversi percorsi da solista dei due ex ragazzi di Glasgow. La prevendita dei biglietti (prezzo unico euro 26,50, compresi diritti di prevendita) è già in corso.
«Sarà un concerto speciale – ha aggiunto Ruggero Pegna – anche per la particolare atmosfera che si creerà con lo sfondo impareggiabile dello Stretto e della Sicilia. Penso che chi ha amato ed ama ancora i Dire Straits vivrà una serata piena di emozioni.»