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COSENZA – La settimana degli innamorati, sabato 16 febbraio (ore 20,30) e domenica 17 febbraio (ore 18), sarà conclusa a Cosenza con una rappresentazione in tema. Al Teatro «Rendano» andrà in scena, per il cartellone di prosa allestito dal direttore artistico Isabel Russinova, lo spettacolo «Romeo e Giulietta», produzione della Società per Attori, firmata da uno dei registi più interessanti della scena teatrale italiana, Giuseppe Marini, che nella stagione di prosa del teatro cosentino ha già firmato la regia dello spettacolo inaugurale «La locandiera» con Nancy Brilli, così come avverrà con quello in programma il 20 e 21 aprile, «Non tutto è risolto», con Franca Valeri e Licia Maglietta. La nuova e per certi versi insolita lettura del dramma shakespeariano evoca – per ammissione stessa del regista Marini – atmosfere care al cinema e ai toni noir di Tim Burton, dal sapore quasi dickensiano. Questa nuova versione di «Romeo e Giulietta», in cui l’azione è spostata nell’ottocento, si rivela, inoltre, autentica palestra per giovani attori, come dimostra l’età media del cast che restituisce freschezza al capolavoro uscito dalla penna di William Shakespeare, nella fedele traduzione di Massimiliano Palmese. I giovani protagonisti sono anzitutto Giovanni Anzaldo (Romeo) e Gloria Gulino (Giulietta). Accanto a loro, Fabio Bussotti (Frate Lorenzo), Mauro Conte (Mercuzio), Riccardo Francia (Benvolio/Baldassarre), Fabio Fusco (Principe della Scala/Pietro), Michele Lisi (Paride/Tebaldo), Serena Mattace Raso (Balia), Simone Pieroni (Capuleti), Nicolò Scarparo (Montecchi/Fate Giovanni). Le scene sono di Alessandro Chiti, i costumi di Mariano Tufano, le musiche originali di Marco Podda. Nelle scene dei duelli, da sottolineare l’apporto del maestro d’armi Francesco Manetti. A chiarire i particolari dello spettacolo è lo stesso Giuseppe Marini, nelle note di regia. «Con Romeo e Giulietta – dice Marini – Shakespeare porta in scena la più alta e suprema indagine poetica sulla vera natura dell’Amore e, insieme, una profonda meditazione sulle insidie del linguaggio, incapace di contenere e rappresentare il Reale, (What’s in a name? fa pronunciare alla sua giovane protagonista) quindi, in ultima analisi, sulla propria Arte. Un amore che muore della propria irriducibilità, del proprio «troppo». Un amore «nato sotto cattiva stella» che, al suo primo apparire, incontra e copula con l’ombra della morte, perchè soltanto la morte e la tragedia (per due adolescenti che adeguano il loro sentimento a un codice iperletterario – il Libro – in cui rovinosamente inciampano) attendono e ispirano una passione talmente pura e assoluta da non sospettare neppure la possibilità del calcolo, del compromesso, della convenienza. La morte, dunque, è presente e operosa in questa prima vera tragedia di Shakespeare – afferma ancora il regista -e rivela sin da subito qual è l’oggetto preferito del suo assalto: i giovani, fiori prematuramente recisi nel loro desiderio erotico più intenso, nel pieno del loro tumulto ormonale, nel più dilagante trionfo di vita, di passione, di sensi. Nella «bella» Verona del Prologo, una città-tomba dilaniata da risse, duelli, da un odio violento, di cui non si conoscono neanche più le ragioni d’origine, ma che ferve di vita, di movimento, di banchetti, di feste, di balli, di maschere? di Teatro, non c’è spazio per i giovani e per l’Amore. Romeo e Giulietta potranno finalmente stare insieme, ma soltanto in una cripta, in una sorta di macabro legame eterno, raggelato e «premiato» dalle insulse statue d’oro che la dabbenaggine mercificante del Potere e degli Adulti erigerà a loro ricordo.» Il dichiarato riferimento, nello spettacolo di Marini, al cinema di Tim Burton ed anche a Dickens è palpabile soprattutto nei costumi di Mariano Tufano che inseguono un vago e favolistico ottocento vittoriano, con tessuti scozzesi che nella Verona dei due amanti infelici suonerebbero incongrui, con ampi mantelli rosso rubino e verde smeraldo e con grandi cappelli a cilindro. Le scene di Alessandro Chiti, riproducono, invece, un teatrino in scala, piccolo palcoscenico dove i due tragici protagonisti recitano a se stessi e per se stessi quel copione di cui credono di essere gli autori. 

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