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La locandina di Bang Bang Baby

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Ma di Adriano Giannini a torso nudo e con sigaretta tra le labbra e morti ammazzati sparsi sul pavimento (item scandalosi, tre su dieci del vecchio codice hollywoodiano Hays di censura cinematografica) che parla in dialetto calabrese ne vogliamo parlare? Alla vigilia del debutto su Prime, la seduzione del male del boss Santo Barone è già uno dei motivi per vedere “Bang Bang Baby”, la serie ispirata alla biografia della principessa di ‘ndrangheta Marisa Merico, che partirà il 28 aprile sul canale di streaming Amazon (dieci puntate, di cui le prime cinque rilasciate nella data di uscita).

Un crime drama che è già un fenomeno annunciato per la narrazione atipica di una storia di criminalità, che evoca l’ambientazione negli anni Ottanta nelle suggestioni pop legate al consumismo, la televisione e il costume di quel periodo molto vintage.

Il soggetto della serie ideata da Andrea Di Stefano è il romanzo biografico “L’intoccabile” (Sperling Kupfer) di Marisa Merico, nipote della terribile Maria Serraino, matrona della cosca reggina di ‘ndrangheta. Nata in Inghilterra e figlia di un’inglese, l’adolescente Marisa, scoperte le sue origini, raggiunge il padre a Milano, dove per conquistare il suo affetto si trasforma in sicario e corriere della droga.

In “Bang Bang Baby” accade questo – con le dovute libere concessioni di fiction – anche ad Alice (la giovanissima attrice Arianna Becheroni), ragazzina insicura che diventa spietata giustiziera in nome di un’incondizionata devozione a quel padre manipolatore. In nome di quell’amore che, come spiega la sua voce fuori campo nel claim della serie, “è bastardo, ti fa sentire speciale e poi quando abbassi la guardia ti colpisce”.

Di Calabria si vedrà poco: la storia si svolge interamente nella capitale lombarda spin off delle attività che la ‘ndrangheta imparò a ramificare in quel decennio che fu rampa di lancio nella costruzione di un impero di traffici internazionali.

Un contesto che ha permesso ai registi Michele Alhaique, Margherita Ferri e Giuseppe Bonito di attingere all’immaginario del maestro dei poliziotteschi Fernando Di Leo (il mitico “Milano Calibro 9” aveva come grandi protagonisti i clan calabresi), ma anche ai fratelli Coen, Tarantino e David Lynch. Insomma, l’obiettivo è stato quello del noir a tinte forti con venature emotive e psichedeliche e un po’ di humour macabro, se davvero si sia raggiunto, lo scopriremo il 28 aprile.

Il trailer, sulle irresistibili note di “Call Me” di Blondie, colonna sonora di “American Gigolo”, è molto pop: kalashnikov su gonne di tulle, neon sfrigolanti, fuoco e tanti corpi irrigati di rosso.

Decisamente d’effetto la locandina, dove Alice è raffigurata mentre fa il classico palloncino col chewing-gum (una delle tante iconografie Eighty disseminate nella serie, dove ogni puntata è associata a un marchio o un personaggio celebre, dalla Big Babol, ai Sofficini o le scene della Famiglia Bradford che occhieggiano dallo schermo televisivo). La lucida bolla rosa è però schizzata di sangue: qui abbiamo una sedicenne che va a scuola impreparata perché anziché studiare ha trascorso la notte a bruciare cadaveri.

Nella realtà, Marisa Merico, vezzeggiata e rispettata figlia del boss Emilio Di Giovine (che le promette che lei sarà la sua “principessina” per sempre), s’innamorò di uno degli uomini della banda paterna e nonostante la giovane età entrò stabilmente nell’organizzazione prendendo le redini del clan dopo l’arresto di Di Giovine.

Nel 1997 va a processo ed è condannata a sei anni ma dopo aver scontato poco più di un anno si rifugia in Inghilterra dove rimane fino alla scadenza del mandato di arresto; oggi ha una laurea in criminologia e insegna ai detenuti in carcere, condividendo la sua esperienza e come si può cambiare e uscire da una spirale di violenza e morte.

La serie non racconterà tutto questo ma si focalizzerà sul legame tra Marisa-Alice e il padre, indissolubile e doloroso come un amore tossico. E di un’altra catena, quella della famiglia calabrese di ‘ndrangheta, capeggiata dalla cinica nonna Lina (Dora Romano), le cui “stranezze” si riveleranno ad Alice riti di un codice d’onore feroce, da cui si può scappare solo con la morte.

Dettagli storici e antropologici che nella ricostruzione sceneggiata di molti film spesso sono stati terreno minato ed hanno generato polemiche nelle lande calabresi, soprattutto quando cast e produzione non erano oriundi: vedremo cosa accadrà stavolta che, al di là della fiction, il soggetto della vicenda, seppure abbia atmosfere surreali, è verissimo e agghiacciante.

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