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Carmensita Furlano

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La grafologa Carmensita Furlano svela i segreti della grafologia come scienza: «È una disciplina nata in Italia, ma qui non è sfruttata»


«LA scrittura è il primo e più importante test proiettivo dell’essere umano e possiamo definirla come il precipitato esistenziale materializzato di ogni soggetto scrivente». A descrivere così l’importanza della scrittura è Carmensita Furlano, grafologa e referente regionale per la Cesiog (Associazione professionale dei grafologi, educatori del gesto grafico e rieducatori della scrittura). L’associazione, trovando un’interlocutrice nella senatrice Tilde Minasi, di recente ha elaborato un progetto di legge per il riconoscimento dell’albo dei grafologi e dell’ordine. «Un dovere formale, sostanziale, morale e sociale – afferma Furlano – perché proprio nell’Italia, patria della grafologia, questa scienza non ha l’importanza che dovrebbe avere».
La dottoressa Furlano ci ha guidati all’interno della disciplina per comprenderne l’importanza e la necessità di estenderne i campi di applicazione.

È vero che la grafologia è nata in Italia?

«Assolutamente sì. Il primo manuale di grafologia italiana lo scrisse nel 1914 il francescano Girolamo Moretti che è considerato il padre della grafologia moderna. Fu un vero e proprio astro internazionale. Rispetto ad altri colleghi che lo hanno preceduto, ha dato un metodo scientifico alla disciplina basato su regole matematiche decimali, regole della fisica, ricerca scientifica e pratica clinica, ma anche sulla sperimentazione. A scoprirla ancor prima furono due medici italiani. Il primo fu Prospero Aldorisio che nel 1611 ha studiato la legge dell’equivalenza grafomotoria che spiegava come il comando della scrittura risiede nel cervello e ogni arto che viene educato potrebbe scrivere. Il secondo è Camillo Baldi, filosofo naturalista e poi medico, che ha studiato come attraverso l’esame di ogni singola lettera si può arrivare a comprendere le caratteristiche psicofisiche del soggetto esaminato».

Oggi come si diventa grafologi?

«È possibile iscriversi alla scuola di grafologia già solo con un diploma. Le scuole superiori di grafologia sono scuole di tre anni in cui si diventa grafologo a livello generale. Poi ci sono le specialistiche biennali successive ai primi tre anni e si dividono in grafologia giudiziaria, peritale e criminalistica. Il primo anno si studia tutta la parte anatomica del soggetto umano. Il secondo anno si affronta tutta la parte di diritto e la parte storica con tutta la sua evoluzione. Solo il terzo anno si arriva alla parte più tecnica che viene applicata per porre in essere la disamina prettamente grafologica che riguarda il soggetto umano e le sue caratteristiche psicofisiche».

Nell’immaginario comune si ritiene che la grafologia venga utilizzata nell’autenticazione di documenti notarili o al più come complemento ai test della personalità. Ma non è così.

«La grafologia in Italia viene tenuta poco in considerazione. Non è spiritualismo, non è magia, non è esoterismo. La grafologia è scienza pura. Permette di studiare le caratteristiche psicofisiche, ossia ciò che riguarda le attitudini psicofisiche di una persona, quindi anche le sue turbe mentali innate, congenite o in azione; le malattie e tutti i cambiamenti che possono avere lo stato d’animo e lo stato fisico e che vengono riportati nella scrittura».

Può farci degli esempi pratici di cosa ci racconta la grafologia?

«Noi studiamo le variazioni naturali e quelle artificiose: le prime attengono allo stato fisico e psichico del soggetto, ad esempio un bambino balbuziente sul quaderno saltella così come parla. Ci siamo, poi, mai chiesti come scrive un suicida volontario rispetto a uno indotto al suicidio? Il consapevole è regolare e normale perché agisce con la consapevolezza che la sua vita sulla terra è finita. Mentre chi viene spinto al suicidio avrà una scrittura piena di tensione con un ritmo congestionato. Non sarà affatto una scrittura fluida ma ci saranno delle scosse, dei punti d’inchiostro. Questi sono esempi di quelle che possiamo chiamare impronte digitali scrittorie e ci fanno comprendere se ci troviamo davanti a un bugiardo, un traditore seriale, una persona buona, un’intelligenza fine e così via».

Quindi l’approccio è del tutto scientifico?

«Si tratta di una scienza difficile, rigorosa, in continua evoluzione. Il grafologo studia il foglio di carta perché rappresenta l’ambiente in cui si muove il soggetto e lo fa attraverso gli assi cartesiani della fisica. Studiamo la formula fisica della velocità e la applichiamo ai nostri studi e a questi aggiungiamo i 24 indici di accelerazione o rallentamento della scrittura. Il grafologo, poi, è l’unico che studia la neurofisiologia del movimento scrittorio. Nei suoi 4 movimenti noi abbiamo la coordinazione armoniosa dei microgesti precedenti e successivi che sono compiuti dalle dita e dalla mano, ma chi scrive è il cervello. Tutti i comandi, infatti, vengono dati dal sistema centrale nervoso ai sistemi periferici. La scrittura in particolare ha la sua centralità nel lobo sinistro e quindi ha funzione corticale e celebrale».

Perché la grafologia racconta così tanti aspetti delle persone?

«Il grafologo è considerato come colui che ruba l’anima. Siamo coloro che svelano l’intimità più profonda. Ma sempre e solo se il soggetto lo vuole, perché rappresenta l’intima natura del soggetto scrivente che non può essere modificata».

Dottoressa, lei ha scelto di portare avanti anche uno studio della “scrittura covid”.

«Conoscendo il dottore Antonio Mastroianni, direttore dell’unità Malattie Infettive di Cosenza, ho cercato di esaminare un certo numero di persone ospedalizzate e tra loro ha scelto di scrivere anche un paziente grave, proprio quest’ultimo ha scritto in modo particolarmente stretto (sia come lettere, sia come parole che come interrigo) perché aveva paura di morire. Poi, mentre guariva, la scrittura è diventata più spaziosa. Con questo studio finora è emerso che il tipo di stress cui è sottoposta una persona con il covid non era per nulla simile ad altre malattie polmonari».

Questa disciplina può essere d’aiuto anche all’interno del mondo scolastico?

«Ho proposto un progetto al ministero dell’Istruzione per la presenza amica di un grafologo nelle scuole, perché dovrebbe essere presente sia come grafologo puro che come rieducatore del gesto grafico. Mi sono resa conto di quanto sia importante facendo il Pcto al Liceo classico di Cosenza, dove ho passato tre mesi con i ragazzi a spiegare loro che cos’è la grafologia. Il grafologo può aiutare i ragazzi ma anche i professori. E può farlo anche affiancando la figura dello psicologo non solo nel riconoscimento della disgrafia, ma aiutando i ragazzi in una conoscenza più intima di sé, nella prevenzione della violenza (riconoscendo quell’aggressività che può diventare violenza), nella prevenzione del bullismo e nel riconoscimento del bullizzato».

In che altri ambiti può trovare applicazione?

«In ambito penitenziario potrebbe avere applicazioni sia negli istituti per adulti che negli Istituti penali per minorenni. Perché con la grafologia andiamo a misurare lo stato di aggressività del soggetto e quando questa può trasformarsi in violenza. Nelle banche può essere utile nella riconoscibilità della firma grafometrica anche quando questa cambia radicalmente nel tempo. C’è poi la grafologia aziendale, che attraverso l’esame grafologico aiuta a riconoscere le attitudini professionali e personali».

La grafologia viene poco utilizzata in Italia, possiamo dire che si tratta di un’occasione mancata?

«In Italia la grafologia è usata solo in minima parte in ambito giudiziario e peritale, quella criminalistica in Italia non è stata mai usata, mentre in paesi europei e asiatici lo è molto. Le università della Russia, della Polonia, della Romania hanno ben superato l’Italia. Invece, in Francia, Portogallo, Grecia viene molto utilizzata non solo in ambito criminalistico, ma anche in altri ambiti. In America la macchina della verità è stata quasi sostituita dalla grafologia: con la scrittura si può provare a ingannare ma non ci si riesce perché anche quella più contraffatta conserva le qualità psicofisiche di chi scrive. Si può copiare la forma ma non il gesto grafico e il processo di scrittura».

Quanto è importante continuare a scrivere a mano e non solo a digitare?

«È fondamentale, tant’è vero che è considerata l’encefalogramma dell’anima. Continuiamo pure a digitare ma non perdiamo la scrittura a mano poiché aiuta il nostro cervello a funzionare meglio in tutte le sfaccettature, dall’attenzione a ciò che noi poniamo in essere attraverso la funzione oculo manuale».

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