Ciardullo, alias Michele De Marco
5 minuti per la letturaMichele De Marco, alias Ciardullo, e Antonio Chiappetta, due amici, due intellettuali che volevano raccontare la Calabria sotto il fascismo
CHISSÀ quale espressione si ritrovavano in viso i fondatori, e quasi sempre direttori, dei giornali locali quando veniva loro recapitato l’ordine di qualche gerarca fascista che imponeva la chiusura del loro foglio perché poco gradito al regime. Chissà con quale arguta ironia riuscivano a mascherare la delusione e poi commentare il sopruso alla libertà di stampa subìto Michele De Marco, alias Ciardullo, e Antonio Chiappetta. I due, infatti, prima di tutto, erano amici accomunati dalla voglia di raccontare una Calabria, o una provincia, come quella di Cosenza, dove spesso le condizioni di vita erano lontanissime da quelle di tante altre città del nord o comunque al di sotto di un accettabile livello di decorosa dignità.
Spesso li ricordiamo per altro, questi due giganti della cultura calabrese e cosentina e si rischia di dimenticare il loro fiero antifascismo. Antonio Chiappetta, per esempio, di qualche anno più grande di Ciardullo (era nato a Cosenza nel 1876, Ciardullo nel 1884) è passato alla storia per aver creato Jugale, personaggio per eccellenza nella cultura popolare, in un poemetto in versi in cui il protagonista, Jugale appunto, combina una stramberia dietro l’altra.
Leggenda vuole che il poema venne composto quando Chiappetta aveva solo sedici anni, e andava al liceo (nel quale fu allievo di un importante letterato come Nicola Misasi), e che poi, in qualche maniera, se ne discostò perché troppo preso dal giornalismo e soprattutto dalla foga della denuncia, della rabbia, della protesta per una Calabria alla quale tutto veniva promesso e nulla veniva concesso.
Lo stesso Jugale finì a bruciare nel caminetto per uno scatto d’ira del suo autore, e se non fosse stato per il coraggio di uno dei suoi figli più piccoli, che ne estrasse le pagine non ancora divorate dalle fiamme, nulla sarebbe arrivato fino a noi. Ma negli anni della maturità Chiappetta aveva ben altre battaglie da combattere, ben altre denunce da sostenere. Il 26 giugno 1902 esce il primo numero del suo “Giornale di Calabria”, strumento straordinario per amplificare e diffondere i suoi anatemi contro i politici corrotti, le differenze di classe, le ingiustizie e le sopraffazioni. E quando iniziò il Ventennio seguitò nella sua linea di non fare sconti a nessuno con un giornale, come lui stesso scriveva, “onesto dalla cima dei capelli alla punta dei piedi”.
Il Giornale di Calabria venne però chiuso nel 1925: nella ricca biografia scritta da Gianfranco Abate e pubblicata da Edizioni Orizzonti Meridionali nel 2002, si legge che Michele Bianchi consigliò ad Antonio Chiappetta di smetterla di attaccare il Pnf ma che Chiappetta preferì seguire la voce della sua coscienza, pur sapendo che il suo mancato allineamento gli sarebbe costato molto caro.
La sua tipografia, che aveva ereditato dal padre e dove stampava il suo giornale, andò incontro a tempi grami e chiuse nella seconda metà degli anni Trenta. Fu costretto praticamente alla fame e la sua bella e grande casa di corso Plebiscito, nel cuore del centro storico di Cosenza, fu venduta stanza per stanza fino a quando Chiappetta e la sua famiglia si ridussero a vivere in una camera sola.
Senza giornale e senza tipografia continuò comunque a professare il suo antifascismo con la parola, i famosi dibattiti culturali del circolo del Renzelli, aspettando fiducioso la caduta della dittatura avversandone le efferatezze, i soprusi e le menzogne, spronando soprattutto i giovani a non rinunciare mai agli ideali di democrazia e libertà.
Antonio Chiappetta morì il 7 agosto 1942. Ciardullo parlò così del vecchio amico in una ristampa del Jugale: «Pensiamo all’ingiustizia di un destino perverso, che ha voluto che egli non vedesse quell’alba di luce spuntata dopo vent’anni, vent’anni per lui di attesa fiduciosa che gli han fatto sopportare, in sublime povertà, angherie e persecuzioni».
Ma anche Ciardullo ebbe i suoi grattacapi con il regime fascista: originario di Perito di Pedace (dove il nipote Francesco, ancora oggi, fa memoria artistica del nonno) fu avvocato e poeta, come il padre Vittorio, attività alle quali affiancò quelle di giornalista e insegnante.
Quando rifiutò di iscriversi al Pnf, per tutta risposta gli chiusero lo studio legale. Fondò due giornali, Ohè (un settimanale umoristico) e Calabria Democratica, chiusi entrambi. Collaborò con il giornale satirico Fra’ Nicola lamentando in versi il conformismo e l’arretratezza della società cosentina del tempo.
Il dialetto e l’ironia furono strumenti formidabili per fustigare i costumi della società cosentina, «spesso vacui e specchio fedele dell’italietta fascista». In questo giornale, annota Addante, «mediante la satira esprimeva un’esigenza assai pragmatica di libertà, una libertà da promuovere con sguardo democratico, e dunque da rivolgere a chiunque, indistintamente».
“Ciardullo” stesso, il suo pseudonimo, fu scelto prendendo a prestito il cognome della guardia comunale del suo paese, quasi come a volersi ergere lui stesso a garanzia di una morale e di una libertà che andavano sempre più sperperandosi.
Ma come Chiappetta è ricordato per Jugale, anche Ciardullo è ricordato per la sua attività poetica e (soprattutto) per il teatro: i testi dei drammi e delle commedie sono oggi praticamente introvabili, come l’ultima raccolta quella curata da Antonio Piromalli e pubblicata da Mide edizioni nel 1984 e sono tutti testi (che peccato…) spariti dai teatri. È davvero difficile che oggi Ciardullo venga rappresentato.
A differenza di Chiappetta, però, a lui toccò la sorte di sopravvivere al regime e caduto il fascismo, il prefetto di Cosenza Pietro Mancini, lo nomina sindaco di Pedace, il suo paese natale. Ohè e Calabria Democratica nel anni Quaranta tornarono a vivere. Il fascismo non c’era più, nel mirino di Ciardullo finì soprattutto la nascente Democrazia Cristiana. Ma questa è davvero un’altra storia.
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