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Sigfrido Ranucci presenta il suo nuovo libro “La scelta”: «Un atto d’amore nei confronti della libertà di stampa».


CORIGLIANO – ROSSANO (COSENZA) – Il tono delle voce è tranquillo, proprio come quando conduce Report, una delle trasmissioni giornalistiche di successo della tv italiana. Giornalismo d’inchiesta, di quello che indaga e non molla finché non ha rivoltato i fatti mostrandone ogni parte.

Adesso, Sigfrido Ranucci esce con un nuovo libro: La Scelta. La Scelta, però, ne contiene almeno due: c’è il racconto in prima persona di alcune fra le inchieste più celebri di Ranucci, da Falluja al Covid, certo. Però, la formula che il giornalista ha seguito nel comporlo è completamente originale, e non si limita a proporre una trascrizione su carta di pezzi di giornalismo d’inchiesta. Accanto alle storie di quelle inchieste e di ciò che ha comportato realizzarle, tutti i pericoli, tutte le difficoltà, corre parallela un’altra storia, della quale non diremo ma che si inscrive perfettamente in quello che Ranucci definisce “Il romanzo dei fatti”. E poi c’è tanto che non sapevamo a proposito dell’autore stesso, delle scelte che ha fatto e che l’hanno condotto fino al punto in cui si trova oggi.

Abbiamo avuto la bella opportunità di scambiare qualche domanda con lui prima della presentazione del libro tenutasi a Corigliano-Rossano, presso l’anfiteatro Rino Gaetano a Lungomare Sant’Angelo, nella rassegna AUTORI D’(A)MARE, giunta alla sua sesta edizione. L’incontro è stato organizzato dal Mondadori Store di Granata Group con il patrocinio del Comune di Corigliano-Rossano e rientra nel cartellone degli eventi del CoRo Summer Fest 2024.

Ranucci, “La scelta” è un titolo breve ma molto esplicativo che mescola la sua professione e la sua vita privata. Come lo ha costruito?

«Intanto direi che l’ho fatto come un atto d’amore nei confronti della libertà di stampa, della resilienza che si impiega quotidianamente per mantenere alta l’asticella della libertà di stampa. Questo è un momento molto particolare per la nostra democrazia a livello mondiale, a livello europeo e soprattutto nel nostro Paese. Pochi ricordano che negli ultimi anni sono stati uccisi in Europa cinque giornalisti che indagavano sui rapporti tra la politica e la criminalità organizzata. A distanza di anni, non sono stati ancora trovati i colpevoli. In Italia, ci sono 270 giornalisti che sono sotto scorta per il lavoro che fanno. È un momento in cui il termometro della libertà di stampa non segna il massimo».

«Inoltre, ci sono tutta una serie di leggi liberticide che stanno per essere approvate: il carcere per i giornalisti che pubblicano notizie illecitamente raccolte. A me rimane difficile pensare a colleghi che siano dei ricettatori. La notizia di pubblico interesse la si dà, altrimenti no. E poi penso invece a tutti quei giornalisti nei conglomerati di giornalismo internazionale che hanno realizzato delle inchieste a favore della collettività, come i panama papers, cioè la sottrazione delle risorse pubbliche messa nei paradisi fiscali a beneficio di pochi ricchi. Questo è emerso dalle indagini. Ma quello che in pochi sanno è che quelle informazioni erano anche informazioni provenienti da attività di hackeraggio che sono state fatte ai centri economico – finanziari che hanno fatto quel tipo di operazioni. Ecco mentre nel negli Stati Uniti già è stata premiata col Pulitzer da altri parti chiederebbero il carcere».

Ranucci, ha dichiarato che il giornalismo le ha insegnato a scegliere. Cosa vuol dire ora scegliere per lei?

«Credo ci siano momenti, come dico anche nel libro, in cui il giornalista deve essere un pastore maremmano. Io porto anche la metafora del jazzista cieco che deve attraversare una strada e che sta aspettando un’anima buona che lo aiuti ad attraversare. Sente la mano sulle spalle e alla fine è un altro cieco che cercava di attraversare la strada. E questo credo che sia una cosa importante, perché poi ha deciso di attraversare ugualmente».

«Alla fine ha detto “è stata l’esperienza più eccitante della mia vita”. Questo perché ha trasformato un momento di necessità in un atto di coraggio e il coraggio serve nelle inchieste. Bisogna dichiarare la strada in alcuni momenti, trasformare la necessità e soprattutto trasformare anche il dolore in resilienza. È per questo che cito anche quell’altro esempio, quello  dell’insegnante ucciso dal suo studente con una coltellata al cuore e ai funerali di questa insegnante, che era un punto di riferimento della collettività, il compagno ha intonato la canzone che preferiva, trasformando così il momento di dolore in una forma di resilienza, perché poi tutti gli sono andati dietro. Ecco io intendo il giornalismo, in un momento di difficoltà come questo, come la capacità di leggere un fatto, di leggere un evento e trasformarsi anche nel pastore maremmano per indicare la strada giusta nonostante tutto».

Nel libro mostra l’importanza della squadra ma anche quanto si sia sentito solo in alcune occasioni. Come ha affrontato la solitudine?

«Si tratta di una solitudine alla quale ero preparato perché me ne aveva parlato Milena (Gabanelli) nel momento in cui mi aveva consegnato quello che era suo “figlio”. Credo che poi alla fine chi decide è solo. Nel momento in cui, si porta avanti la scelta è importante avere a fianco successivamente la squadra, perché altrimenti non vai da nessuna parte. Quindi, magari la solitudine della scelta può essere poi premiata dalla solidarietà e dal fatto che torna la squadra che è pronta a sacrificare la propria vita, a mettere a rischio anche la propria sicurezza personale e quella dei propri cari, pur di mantenere la libertà di stampa e pur di rendere consapevole il pubblico e informato perché possa a sua volta operare una scelta».

Il libro inizia con un capitolo dal titolo importante per chi fa questo lavoro: “Partire”. Cosa vuol dire per lei partire e tornare?

«Quando parti per un’esperienza, dico sempre che non puoi tornare e permetterti di tornare uguale a prima, altrimenti hai perso del tempo. Per me partire è esplorare un territorio completamente nuovo, una situazione completamente nuova con la curiosità di quando sei ragazzo, ma per capire. Torna quello che avevamo detto prima del Jazzista cieco, cioè tu devi tornare come esperienza che ti ha cambiato e non semplicemente perdere tempo, ma costruire percorsi».

Ranucci, una delle persone che incontra nel libro, soprannominato Vedo Vedo, le dice: «L’occhio guarda ma non basta. Deve interrogare». Quanto è importante il dubbio nella sua professione?

«Sta alla base. La curiosità, il dubbio sono alla base della nostra professione, altrimenti non puoi fare altro che accontentarti delle versioni che danno gli altri e soprattutto quando si tratta di politici e amministratori, tu non puoi permetterti questo lusso, per il mandato che ti dà il pubblico, di accontentarti. Devi vagliare, verificare, approfondire».

«Fai ciò che devi, accada quel che può» è una frase del suo mentore Roberto Morrione. A parte lui chi sono stati i suoi maestri?

«Roberto Morrione è stato un grandissimo direttore e un grandissimo uomo. Quello è il direttore che tutti i giornalisti vorrebbero avere. Poi, sicuramente c’è stata Milena Gabanelli che ha insegnato il rigore, la capacità visionaria di scegliere gli argomenti che non sceglierebbe nessuno perché magari hanno il sex appeal del manuale di una caldaia. Poi, c’è stata la formazione dei miei genitori, perché mio padre e mia madre sono stati fondamentali. Mio padre per quello che riguarda la legalità, mia madre per la passione del racconto».

Report è una trasmissione di successo, i numeri parlano chiaro. Cosa dobbiamo aspettarci per la prossima edizione?

«Il solito Report con il solito sguardo».

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