Francesco Migliaccio
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L’intervista a Francesco Migliaccio, conduttore del seguitissimo podcast “Demoni Urbani. Il lato oscuro della città”
Una sala di registrazione, la luce fioca di un abat-jour, un uomo canuto dietro un microfono e un paio di lenti, dei fogli di carta bianchi sul tavolo. Agli “occhi” degli ascoltatori la scena di Demoni Urbani – podcast tra i più seguiti in Italia, non solo nel genere crime – si presenta così. Lo studio è quello di corso Sempione a Milano, sui fogli le storie criminali (vere) più inquietanti (scritte dagli autori Giuseppe Paternò Raddusa, Martina Marasco, Maria Triberti ed Elettra Sofia Mauri, coordinati da Giacomo Zito e Gianluca Chinnici). L’uomo con barba e capelli bianchi, dalla voce calda e baritonale, è Francesco Migliaccio, attore esperto e fieramente pervaso da radici calabresi.
La sua carriera parte nel 1985 al Piccolo Teatro di Milano, passa per il cinema e la tv, arriva ai giorni nostri, allo Stabile di Trieste. Qualche anno fa, «quasi per caso», inizia a partecipare a trasmissioni audio e la sua voce viene ben presto ritenuta quella giusta per “Demoni Urbani. Il lato oscuro della città” (della piattaforma Gli ascoltabili), secondo miglior podcast true crime agli Italian podcast awards 2021, a lungo in testa alla classifica generale dei podcast italiani su Spotify con un bacino di oltre 300mila ascoltatori abituali.
TUTTI PAZZI PER IL CRIME… E PER I PODCAST
L’esordio di “Demoni Urbani” avviene nel 2018, quando in pochi pensavano di potersi ritagliare una fetta di pubblico con la cronaca nera senza il supporto delle immagini. «Siamo stati tra i primi – racconta l’attore –. Un primato di cui andiamo orgogliosi. Già si intuiva nella produzione cinematografica questa attenzione ai racconti criminali legati alla realtà. Fino agli anni ’60-‘70 incuriosivano quasi con un livello di cinismo inquietante, con la stampa dedicata e una curiosità morbosa. Ora non è più così. Attraverso il crime si vuole conoscere la storia contemporanea e non solo. Ovviamente i racconti devono essere scritti molto bene, senza mai ammiccare alla morbosità, fedeli alla storia per dare spazio interpretativo a chi ascolta che così può esprimere un giudizio».
DAL PALCOSCENICO ALLO STUDIO
«Quando mi trovo davanti al microfono – ci spiega Migliaccio – è come se si aprisse il sipario. È come se fosse il proseguimento del mio lavoro a teatro. C’è solo voce invece che corpo e voce, ma attraverso la voce si dà corpo a quello che si racconta».
La scrittura è fondamentale, «un lavoro enorme degli autori, di ricerca e messa in pagina del testo. Io cerco di studiarlo in maniera approfondita, lasciando un margine di improvvisazione ed estemporaneità. Partecipo alla scrittura delle storie nel momento in cui le leggo, intervengo nella drammaturgia attraverso l’interpretazione. È un processo osmotico con gli autori, leggo delle pagine scritte con la consapevolezza che saranno lette da me».
STORIE CALABRESI
È il caso, ad esempio, della puntata di fine novembre 2021 dal titolo “Chiamatemi Yvette” in cui Migliaccio accompagna i suoi “adorati” (così battezza gli ascoltatori) nell’agghiacciante storia della piccola Maria Ilenia Politanò, uccisa a soli 51 giorni di vita nel 1994 dalla propria famiglia a Polistena al termine di uno sconcertante delirio “pseudoreligioso”.
Francesco Migliaccio di Demoni Urbani: «Sono fiero delle mie radici. La Calabria è una terra che stupisce sempre»
In apertura Migliaccio definisce la Calabria «una delle regioni più affascinanti d’Italia, cui sono fiero di appartenere». Per l’attore non poteva esserci «occasione migliore di rivendicare le origini calabresi raccontando una storia che non racconta il nostro territorio, ma lo mortifica e lo infama. Ho trovato giusto dire: sì, sono calabrese – rimarca – e questa è una storia che non c’entra niente con la Calabria. Sono originario di Gerace, i miei genitori e i miei primi quattro fratelli sono nati in Calabria, solo io a Milano. Sono orgoglioso di esserne originario anche per la sua bellezza e il suo fascino. Ho una passione autentica per Gerace, un paese che ha una storia straordinaria, dalla quale una persona con un minimo di sensibilità non può non farsi coinvolgere. Non c’è niente di anonimo a Gerace e in generale in Calabria. Una terra che sorprende sempre. Farne parte mi inorgoglisce ma genera anche in me grande ansia e costante preoccupazione per tutti gli aspetti negativi, in alcuni casi molto negativi, che la contraddistinguono».
ANIME NERE DI CALABRIA
Eh già. Perché non avremo mostri da copertina, ma qui da noi di sangue ne scorre fin troppo. «La Calabria di nero ha tante cose, la violenza ha mille facce e quella della ‘ndrangheta, degli omicidi degli anni ’80 a cadenza giornaliera nella Locride – ricorda Migliaccio – non ci rappresenta ma è legata al territorio. Stiamo parlando di un noir parallelo, organizzato, protetto, tutelato».
Francesco Migliaccio di Demoni Urbani: «La violenza della ‘ndrangheta non rappresenta questa terra»
«Nei suoi libri il mio compaesano Gratteri ci racconta le origini della ‘ndrangheta, conoscere il nemico per poterlo combattere. Ma come si fa a conoscere il tuo nemico quando ci sono due giovani genitori che massacrano di botte la propria figlia di 51 giorni? Sono cose ben diverse».
VITTIME E CARNEFICI
Una storia difficile da mandare giù quella di Polistena. Una delle tante – oltre cento – “recitate” da Francesco Migliaccio in Demoni Urbani. «Tutte le storie sono difficilissime da digerire. Ed è difficile – anche se accade raramente – non provare una sorta di empatia con alcuni di questi personaggi negativi».
Come le protagoniste dei 16 episodi di lady killer, la miniserie sulle donne assassine. «La maggior parte di queste donne autrici di omicidi terrificanti avevano alle spalle una storia altrettanto allucinante, di violenze, stupri da parte dei parenti, povertà, emarginazione. È un’empatia controllata ma c’è».
Volti, biografie, epiloghi che restano nella memoria di chi li racconta. «Mi sono rimaste nel cuore molte vittime. Su tutte ‘i Ziti, due giovani omosessuali trucidati nel catanese nel 1980. Tutte le vittime sono innocenti, ma l’innocenza di questi due ragazzi era veramente olimpica. E poi ricordo la storia di un ingegnere dell’ex Urss al quale muoiono due figli e la moglie in un incidente aereo, causato involontariamente da una persona. Lui individua in questa persona un colpevole e lo uccide, con una trentina di coltellate sotto gli occhi della famiglia. Straziante sia il passato sia la colpa di questo uomo. A volte ti strazia l’inevitabile destino di diventare un assassino, che naturalmente non lo giustifica».
I MOSTRI IN MEZZO A NOI
Ascoltare può diventare spesso esercizio di comprensione. Fino a chiedersi: è la società a generare i demoni o dobbiamo accettare il male come parte essenziale dell’essere umano?
«“Demoni urbani” nasce per raccontare l’uomo e il demone dentro di lui, che non dirò mai geneticamente presente, ma che cresce con l’età dell’individuo e scatena le peggiori azioni possibili e immaginabili. Non c’è mai una reale giustificazione, ma a volte la si trova tra le maglie rosso sangue. Poi man mano le storie si sono spostate anche verso i contesti sociali, politici, economici che possono generare l’ira furiosa di alcuni individui. Credo però – afferma Migliaccio – che in gran parte il ruolo principale è giocato dal demone interiore del singolo individuo. La società può essere la più squallida e respingente possibile, ma allora dovrebbero essere tutti assassini. Il contesto attecchisce su particolari individualità già di loro compromesse psicologicamente ed emotivamente. Spesso i killer sono giovani che vivono un profondo isolamento operato dall’esterno e poi dall’interno. Una volontà di isolarsi, per un’interpretazione tutta particolare della realtà che vivono. Più evitano di relazionarsi con la vita sociale, più cresce il bisogno di rappresentarsi solo attraverso azioni violente, che lascino il segno. Uccidere, e farlo con alcuni metodi particolari, è un modo per affermare la propria superiorità sugli altri».
UN REFRAIN INACCETTABILE: IL DOMINIO DEL MASCHIO
Prostitute, amanti, colleghe, spesso sconosciute. Le nostre città sono attraversate da donne costantemente oppresse dagli uomini, fino all’ultimo sfregio della morte.
«Crescendo di anno in anno nella scrittura – spiega Migliaccio – abbiamo cercato di raccontare il background familiare e casalingo dove avvengono i femminicidi. Non si trova mai una spiegazione se non nell’interpretazione malata dell’inferiorità della donna e della determinazione del ruolo maschile. Una cosa che è fatta di aria. Quali sono i ruoli del maschio? Gli stessi della donna, ma a un certo punto mogli, sorelle, compagne diventano degli ostacoli, presenze fastidiose da eliminare in quanto donne».
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