Emeid - San Giorgio Albanese (foto Iacopo Munno)
5 minuti per la letturaÈ un progetto che punta ad arricchire il territorio calabrese con opere d’arte e messaggi sociali. Artisti di rilievo si alternano per lavorare su opere murali in Calabria e non solo. Questo è Gulìa Urbana, il progetto che nasce dal collettivo Rublanum e che da nove anni riscuote numerosi consensi. Giacomo Marinaro, uno dei creatori del progetto, ne racconta la genesi e l’essenza.
Cos’è Gulìa urbana e com’è nata?
«È un progetto nato nel 2012 dall’idea di tre giovani calabresi: Giacomo Marinaro, Matteo Falbo e Andrea Falbo, che volevano provare a portare nella loro terra, la Calabria, ma soprattutto nel cuore della valle del Savuto (Rogliano in provincia di Cosenza), qualcosa che si è sempre visto altrove. L’intento era quello di riqualificare e dare un’anima ad alcuni luoghi e poi da lì ci siamo specializzati e professionalizzati. Ora Gulìa Urbana è un progetto che mira allo sviluppo del tessuto urbano ma soprattutto sociale».
Il perché di questo nome?
«Gulìa è nato per caso. Inizialmente il progetto si chiamava “Street art day”, poi “Urban revival”. Gulìa in dialetto calabrese, ma anche un po’ nel sud Italia, assume il significato di voglia. E noi abbiamo questa voglia di operare sul territorio per contribuire a migliorarlo, a dargli quel quid in più, quel qualcosa che manca portando delle novità, dei laboratori e dei messaggi sul muro, perché quando è possibile ci piace affrontare delle tematiche sociali che fanno riflettere il passante: la violenza di genere, lo spopolamento, l’accoglienza».
Come scegliete i luoghi in cui operare?
«Non abbiamo mai proposto il nostro progetto, ma sono sempre stati il più delle volte i comuni e le amministrazioni interessate. Poi facciamo uno studio del territorio con dei sopralluoghi, parlando con la gente. È un lavoro che dura mesi. Poi si sceglie l’artista e si studia insieme a lui l’opera migliore. Noi diamo sempre massima libertà di espressione. Ma il nostro progetto, tranne quando abbiamo operato in città abbastanza grandi come Taranto o Latina, si sviluppa sempre in piccoli centri urbani, perciò è un po’ più delicato, non possiamo avere la prepotenza di portare alla popolazione qualcosa che non piace ma dobbiamo renderlo parte integrante e provare a educarlo al bello».
Quando si parla di street art, spesso la si associa alla deturpazione di un bene comune. In questo caso sono proprio le amministrazioni che ne riconoscono il valore.
«Nel 2012 assieme al “Mura mura fest”, progetto di Vibo Valentia, siamo stati i primi a portare il senso di street art con quella visione lì. Abbiamo vissuto dunque proprio quel passaggio: vedere delle persone dipingere su un muro in un’organizzazione concessa dal comune, che fa un effetto diverso. Abbiamo vissuto il periodo di passaggio in cui la street art, i graffiti, venivano considerati una deturpazione della cosa pubblica, mentre adesso la popolazione è stata educata al concetto del bello. Anche una semplice scritta, fatta con stile e fatta bene, che riesca a mandare anche un messaggio, è un’opera d’arte».
Peculiarità degli street artist è l’azione notturna e illegale. Farlo dunque con il benestare di un’amministrazione comunale come in questo caso, toglie qualcosa a quella che è la vera cultura della street art?
«Io sono pienamente favorevole al fatto che il vero movimento artistico culturale, che poi è stato identificato come street art ma è forse più corretto dire urban art, debba avere quella dose di illegalità. Determinate cose se vengono fatte con quell’illegalità, acquisiscono un valore aggiunto. Personalmente sono favorevole a operare in luoghi ben definiti, su una superficie che più ti assomiglia, ma sostanzialmente dipende da quello che fai. A tutti piace dipingere la propria opera in maniera legale, perché si ha più tempo, si è più tranquilli, ma se vuoi mandare un messaggio forte è difficile che lo puoi fare in un contesto organizzato. Allora vai in strada, di notte e aspetti che la gente il giorno lo vede. Spero che questa attitudine e questo brivido di energia rimanga sempre. E questa è proprio l’adrenalina che proviene dal mondo dei graffiti, quando si andava di notte a dipingere sui treni. Gulìa Urbana comunque ha quell’attitudine ma sempre con il rispetto del territorio».
Dove si possono vedere le opere realizzate?
«Abbiamo iniziato il 2021 con un po’ di tappe: Nocera Terinese ad aprile, Rose e l’estate che è iniziata con Santa Sofia D’Epiro. Tutto giugno avevamo un paese da curare, siamo passati poi per Lamezia Terme, Belsito, San Giorgio Albanese, Bianchi, Dipignano. Ad agosto saremo a Diamante per la seconda parte di Diamante Murales 40, progetto che stiamo curando assieme ai ragazzi di Iosa. Una line up molto importante».
In questi anni di Gulia Urbana il territorio come ha reagito e come reagisce?
«C’è da dire che noi tre di Gulia Urbana siamo costituiti in un’associazione, “Rublanum”, e probabilmente il nostro punto di forza è proprio quello di riuscire ad unire le persone. Nel riuscire a trasmettere quell’energia positiva che prendiamo proprio dalla popolazione del luogo».
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