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di DOMENICO CERSOSIMO, STEFANIA CHIMENTI e SABINA LICURSI

LE AREE interne calabresi sono a rischio di desertificazione umana. Nelle quattro Aree pilota (ApC) selezionate dalla Regione Calabria – Sila-Presila, Reventino-Savuto, Ionico-Serre e Grecanica – per sperimentare la Strategia nazione aree interne (Snai), nel 2040, a parità di tasso di decrescita demografica dell’ultimo ventennio, scompariranno 18 mila abitanti (-15,1%).

L’area Sila-Presila perderà più di un quarto della popolazione attuale; le altre tra l’11 e il 15%. Diverse comunità locali si ridurranno a poche decine di residenti: Staiti a circa 130 abitanti (dai 211 nel 2020), Carpanzano a 147 (224), Roccaforte del Greco a 244 (402), Panettieri a 263 (311), Bova a 341 (406), Pazzano a 356 (510), Carfizzi a 391 (558).

È quanto emerge dalla ricerca sulla qualità della vita nelle aree interne promossa nell’ambito dell’Accordo tra la Scuola superiore di scienze delle amministrazioni pubbliche e il Nucleo regionale di valutazione e verifica degli investimenti pubblici della Calabria e che coinvolge un nutrito gruppo interdisciplinare di ricercatori del Dipartimento di scienze politiche e sociali dell’Università della Calabria.

Lo spopolamento è la causa prima del declino economico, civile, ecosistemico. Il rinsecchimento residenziale, se prolungato e intenso, finisce inevitabilmente per alimentare la spirale circolare negativa: meno abitanti-meno servizi-meno occupati-meno reddito-meno abitanti.

Nelle prime due decadi di questo secolo, con particolare intensità a partire dagli anni successivi alla grande recessione del 2008, le ApC hanno registrato un drastico e sistematico processo di erosione demografica, che si somma all’altrettanto forte spopolamento del ventennio precedente. La popolazione residente è passata da 142 mila abitanti degli inizi del millennio a meno di 119 mila del 2020, una perdita secca di oltre 23 mila residenti (-16,3%). In valore assoluto è come se fosse scomparsa l’intera popolazione odierna del Reventino-Savuto. La Sila-Presila è stata l’Area più colpita dalla regressione, ha perso ben 10.000 abitanti (-28%), ma forti arretramenti hanno subito anche le altre Aree: Reventino-Savuto (4.000 abitanti in meno; -16,1%), Grecanica (- 5.200 circa; -11,5) e Ionico-Serre (-4.400; -11,6%).  Più di un quinto dei Comuni appartenenti alle ApC (14 su 63) ha perso oltre il 30% della popolazione residente. Si tratta per lo più dei comuni più piccoli, con meno di 2 mila abitanti, e la maggior parte di quelli appartenenti alla Sila-Presila (9 su 14). Roccaforte del Greco, Paludi, Staiti, Carpanzano e Terravecchia hanno subito contrazioni demografiche superiori al 40%; Campana, Cardeto, Bocchigliero, Scala Coeli, Pazzano, Carfizzi, Pallagorio, Longobucco e San Nicola dell’Alto hanno perso più del 30% degli abitanti. Solo quattro Comuni hanno registrato un aumento della popolazione: Bova Marina (+223 residenti, +5,6%), Monasterace (+115, +3,3%), Melito Porto Salvo (+277, +2,6%) e, soprattutto, Riace (+428, +26,6%), sebbene dal 2017 anch’esso in grave perdita di residenti.

È lo squilibrio crescente tra natalità (bassa) e mortalità (alta) a determinare lo spopolamento, molto di più dell’asimmetria tra abitanti in uscita e abitanti in entrata, fattore caratterizzante del depauperamento demografico fino a qualche decennio addietro. Le nuove nascite sono in caduta libera, a ragione dell’erosione delle donne in età procreativa e della riduzione della fecondità, una volta tra le più alte in Italia e oggi tra le più basse dell’intero pianeta, a cui va aggiunto l’ulteriore riduzione legata alla pandemia. Nelle ApC il tasso di natalità (nati vivi ogni mille abitanti) è oggi pari a 6,6 (8,0 nel 2002), con estremo basso nella Sila-Presila, appena 5,7, e estremo alto nella Grecanica (7,6), a fronte di valori medi nazionale e regionale del 6,8 e del 7,4 (8,9 nell’area Euro).

Con gli stessi tassi nazionale e regionale, nelle ApC nascerebbero in media rispettivamente 25 e 100 bambini circa in più all’anno. Dai 1.100 neonati in media all’anno di venti anni fa si è passati ai 770 odierni; al contrario, i decessi sono saliti da 1.500 a circa 1.700, sicché il saldo netto è attualmente pari a un decremento medio di circa 1.000 abitanti all’anno. Tassi di natalità così bassi non consentono il ricambio generazionale e lasciano intravedere una società di residenti sempre più vecchi e più soli. Nella Sila-Presila, nel 2020, a fronte di 137 nati vivi sono deceduti ben 441 residenti (caso limite Carfizzi: 1 nato contro 24 morti), nel Reventino-Savuto 122 nati e 283 decessi (a Scigliano 2 nati e 24 morti), nella Ionico-Serre 253 nati e 419 morti (a Nardodipace 4 nati e 23 morti), nella Grecanica 262 nati e 549 morti (a Roccaforte del Greco 1 nato e 7 decessi). Bocchigliero, Bova, Bruzzano Zeffiro, Cardeto, Carfizzi, Carpanzano, Guardavalle, Nardodipace, Pazzano, Roccaforte del Greco, Scigliano sono i comuni con lo squilibrio nati-morti più acuto. Soltanto quattro comuni registrano nell’ultimo ventennio un saldo naturale in equilibrio o leggermente positivo: Roghudi (+7), Serra San Bruno (+3 abitanti), Camini (+1 abitante) e Panettieri (+1 abitante).

La bassa natalità alimenta un progressivo de-giovanimento della società locale, favorito tra l’altro da un welfare particolarmente ingeneroso nei confronti sia delle famiglie con figli sia dei giovani che vogliono formare nuovi nuclei familiari. Nelle ApC erano oltre 22 mila i ragazzi con meno di 15 anni all’inizio del millennio mentre oggi non arrivano a 14 mila, una perdita assoluta di oltre 8.000 unità (-37%). Nel contempo, la quota di anziani (con più di 65 anni) è rimasta grosso modo invariata, intorno a 30.000 residenti (+2,2%). Per effetto di questo divergente andamento, le ApC registrano un preoccupante balzo dell’indice di vecchiaia: da 134 residenti con oltre 65 anni ogni 100 ragazzi con meno di 15 anni a 217,5 (+58,5%).

La Sila-Presila mostra l’indice di vecchiaia più alto (290,2), seguono Reventino-Savuto (239), Grecanica (213) e Ionico-Serre (170), tutte al di sopra del valore medio calabrese (163; 174 in Italia). A Carpanzano si contano 13 anziani ogni giovanissimo, a Roccaforte del Greco il rapporto è 8 a 1, a Carfizzi e Bocchigliero 7 a 1, a San Nicola dell’Alto e Staiti 6 a 1, a Pallagorio e Scala Coeli 4,5 a 1, a Campana e Terravecchia 4 a 1, a Savelli, Scigliano, Panettieri, Palizzi, Bruzzano Zeffirio, Pazzano, Sant’Andrea Apostolo e Cardeto 3 a 1. Un valore del tasso di vecchiaia fisiologico si riscontra soltanto in tre Comuni: Serra San Bruno (134,6), Camini (132,5) e a Riace, dove il rapporto anziani-giovanissimi è pari a 1 a 1. Data la bassa natalità, la tenuta demografica di medio periodo delle comunità interne dipende in primo luogo dalla capacità di attrarre e trattenere immigrati; l’inversione dei tassi di natalità è possibile infatti soltanto nel lungo periodo e con politiche pubbliche strutturali ben calibrate. Le famiglie di immigrati, è noto, sono composte nella quasi totalità da giovani genitori con figli piccoli, e quindi possono integrare quelle coorti d’età che si sono patologicamente rarefatte nelle aree interne. L’immigrazione, dunque, piuttosto che una criticità potrebbe rappresentare la “soluzione” dello sfiguramento demografico delle aree interne. Il problema però è che i flussi immigratori negli ultimi anni, anche a seguito di intenzionali politiche nazionali di contrasto degli arrivi, si sono via via ridotti, e la presenza di popolazione straniera si è contratta anche in quei comuni che avevano sperimentato forme innovative di accoglienza e di integrazione, acuendo ulteriormente l’asimmetria intergenerazionale e compromettendo la sostenibilità dell’equilibrio demografico delle aree interne.

La storia però non è già scritta e il declino demografico può essere invertito, anche nelle aree interne. Non è facile ma possibile, come mostrano diverse esperienze di Paesi europei. Servirebbero adeguate politiche pubbliche di lungo periodo a scala nazionale e locale. Politiche indirizzate a sostenere i giovani che hanno terminato il loro percorso formativo e cercano lavoro e le famiglie con figli. Nelle aree interne servirebbe prima di tutto un potenziamento dei servizi collettivi, dalla scuola alla sanità, dai trasporti alla rete internet, per consentire alle famiglie una vita decorosa, sicura. E servirebbero nuovi racconti sul futuro per alimentare fiducia e speranza e uscire dalle secche del presente.

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