“VIDEO killed the radio star” cantavano i Buggles nella loro storica hit del 1979. E dicevano una grande verità. L’avvento della televisione ed il suo sviluppo incredibile è stato inversamente proporzionale alla caduta nell’oblio della sua antenata, la buona, vecchia radio. Occasionalmente oggi la si ascolta ancora, chi in macchina fermo in coda, chi mentre si taglia la barba, chi la usa come sveglia. Invece una volta la radio era più di un semplice sottofondo ai nostri servizi domestici: era un’amica, una consolatrice, una messaggera. Tantissime sono le storie che riguardano questo prezioso apparecchio che proprio quest’anno festeggia i suoi 90 anni di vita. Ma nessuno se ne ricorda mai. “Uri, Unione Radiofonica Italiana. 1-RO: stazione di Roma. Lunghezza d’onda metri 425. A tutti coloro che sono in ascolto il nostro saluto e il nostro buonasera”.
Con tali parole il 6 Ottobre 1924, alle ore 21, l’URI (Unione Radiofonica Italiana) iniziò ufficialmente le trasmissioni radiofoniche (
ASCOLTA LA PRIMA TRASMISSIONE). La voce della musicista Ines Viviani Donarelli, annunciatrice improvvisata per l’occasione, accompagnò l’intera giornata radiofonica, durata circa due ore e conclusasi con il “bollettino dei presagi” (quello che oggi chiameremmo meteo). Nonostante sia quella della Viviani-Donarelli la prima voce ad essere trasmessa in radio, la prima vera annunciatrice radiofonica fu Maria Luisa Boncompagni. Donna non bellissima, molto sicura di sé, intraprendente. Il compito dell’annunciatrice radiofonica, ai tempi dell’URI, si limitava alla presentazione: la Boncompagni e chi in seguito prese il suo posto erano il punto di riferimento per l’intera troupe radiofonica. La Boncompagni raccontò in un’intervista degli anni ’80 un episodio curioso. Un giorno il consiglio dei ministri finì prima del previsto e la Boncompagni scelse un disco e lo trasmise per occupare il tempo rimasto. Il caso volle che il disco scelto (casualmente) dalla Boncompagni avesse come titolo “Parata di marionette”… cosa che il consiglio dei ministri non gradì moltissimo. Da allora, in RAI gira un ordine di servizio che vieta agli annunciatori di dire il titolo del disco riempitivo. 1926. L’Italia era uscita da poco dalla Prima Guerra Mondiale ed era dotata di un’economia ancora non stabilissima.
L’italiano medio non poteva permettersi un apparecchio radiofonico che trovava sfoggio soltanto nelle case dei più ricchi. La svolta ci fu nei primi anni ’30 quando il regime, accortosi delle immense potenzialità propagandistiche del mezzo, decise di dotare ogni “casa del fascio” di un apparecchio ricevente, diffondendo il motto “Ogni paese deve avere la sua radio. Fu incrementata la produzione di apparecchi a basso costo come la Radio Rurale o la Radio Balilla, oggi ricercatissime dai collezionisti. Gli italiani non conoscevano ancora pienamente le potenzialità del nuovo mezzo che, per ora, trasmetteva prevalentemente musica classica e bollettini informativi su politica ed economia. Pochissimo spazio era lasciato alla musica da ballo che sarà la vera rivelazione della radio italiana. Il popolo non aveva ancora sviluppato gusti radiofonici precisi.
L’URI creò la prima rivista dedicata interamente alla radio: il “Radiorario”. Comprandolo, il radioascoltatore poteva essere informato delle ultime mode in fatto di musica e costumi, dei principali eventi politici e di quant’altro potesse essere radiofonicamente trasmesso.La radio troverà da allora ampissimi consensi, sino ad arrivare ad essere, negli anni ’40, uno strumento indispensabile per la vita di tutti i giorni. Tantissimi gli eventi organizzati dall’ente radiofonico che nel 1928 diventò EIAR. Di tutto ciò, parleremo nelle prossime puntate della rubrica. Signori, buonasera.