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ALESSANDRO Lai, tra i più apprezzati costumisti italiani, noto per le sue numerose e prestigiose collaborazioni creative è ospite sabato e domenica della residenza teatrale MigraMenti a Badolato. Il maestro terrà una masterclass su “Costume e sartoria teatrale”, che darà l’avvio a un laboratorio di costumistica e sartoria teatrale che proseguirà a settembre. Per Lai è la prima volta in Calabria «Sono felice di essere qui – dice raggiunto telefonicamente – ho tanti amici calabresi che mi hanno sempre parlato della loro terra e adesso sono concento di essere qui e di apprezzare la sua bellezza».
Come si sceglie di fare il costumista, un lavoro affascinante ma non comune?
«Io ho fatto esattamente quello che volevo fare sin da bambino, non so neanche come è nata questa idea perché è un mestiere talmente particolare. Ma io già a 16-17 anni avevo le idee chiare su quello che volevo fare e ho indirizzato anche i miei studi per il conseguimento di questo obiettivo e verso quella che sarebbe diventata la mia professione».
Che studi bisogna fare?
«Bisogna indirizzarsi verso gli studi grafici e classici, dopo essermi laureato in Lettere con una tesi sul grande Piero Tosi costumista di Visconti e poi sono riuscito ad avvicinarmi a lui. Mi ha insegnato veramente tanto».
I primi passi nella famosa sartoria Tirelli di Roma, che cosa ricorda di quel periodo?
«Una settimana dopo la laurea era già in sartoria, ho fatto la gavetta per tre anni e sono sono stati gli anni più belli della mia vita. Erano gli anni novanta e io ho avuto la possibilità di avvicinare i più grandi costumisti italiani e internazionali con i quali ho anche lavorato. Anni di crescita. Devo dire che ho fatto il mio apprendistato di lusso. Dopo che sono uscito ho fatto i miei film da assistente, pochi ma importanti e poi ho cominciato a fare i miei film».
Costumi realizzati per “Sud Side Stori” di Roberta Torre, “Senso ’45” di Tinto Brass, “Callas forever” di Franco Zeffirelli (costumi cofirmati con Anna Anni e Alberto Spiazzi), “A/R andata + ritorno” di Marco Ponti, “Saturno contro” e “Un giorno perfetto” di Ferzan Ozpetek, “Lezioni di volo” di Francesca Archibugi, “Alcide De Gasperi l’uomo della speranza” di Liliana Cavani, solo per citarne alcuni. La differenza tra cinema e teatro?
«Io ho una debolezza per il cinema, subisco però il fascino del teatro, ma il teatro è più frustrante. A me piace anche il dettaglio e invece in teatro c’è una visione da lontano, nel cinema invece si possono curare i dettagli. Ma comunque mi piace variare per non cristallizzarmi, per staccare la spina».
Preferisce i film o le opere in costume o quelle ambientate in epoca moderna?
«Preferisco soprattutto il moderno, ormai il cinema in Italia è contemporaneo, è difficile imbattersi in opera in costume. In Magnifica presenza di Ozpetek nello stesso film si passava dal moderno al costume ed è stato interessante. Il mio compito comunque è quello di contribuire al racconto di un film, anche il mio mestiere è funzionale al suo sviluppo. E poi io penso che deve essere tutto armonico che nessun aspetto deve prevalicare l’altro».
Con Ozpetek ha collaborato già a cinque film, un rapporto che funziona.
«In questo periodo sono proprio impegnato nel suo ultimo film. Il rapporto con il regista è importante, io devo avere chiaro quello che lui vuole, d’altra parte anche io faccio delle proposte che poi vengono valutate. Con Ozpetek si è ormai instaurato un rapporto di fiducia, una sintonia, io conosco le sue idee e lui conosce le mie follie».
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