Alessio Pratico sul set di Boris 4 insieme a Pietro Sermonti
4 minuti per la letturaREGGIO CALABRIA – Gli occhi del cuore sacro di Gesù potrebbe essere una serie fortunata per la piattaforma. Del resto nel cast non ci sono toscani – ed è noto che i toscani abbiano rovinato questo Paese! -, ma calabresi sì. Scusateci, questo è un articolo ad alta concentrazione di spoiler, sebbene – dai (dai, dai) – come si concluda la vita del figlio di Dio lo sanno un po’ tutti. Al contrario, bocche cucite su Boris 4 che, alla fine, è il contenitore della serie di cui sopra.
Tornato dopo oltre dieci anni sui nostri schermi (più in particolare su quelli di Disney+), il prodotto televisivo più amato dagli italiani di ogni età racconta ancora una volta le avventure sul set del cast più pazzo del mondo, alle prese, stavolta, con ciak biblici: quella che René Ferretti (Francesco Pannofino) sta girando è, di fatti, la vita di Gesù e alzi la mano chi non ha subito pensato ai Monty Python e a Life of Brian. Il risultato? Bello, bellissimo e molto nostalgico visto e considerato che «l’inferno è pieno di quarte stagioni». Ma basta: non «odimo» più nulla, come poc’anzi promesso. Ed è pure per questo motivo che ci “limitiamo” a intervistare il reggino, classe 1986, Alessio Praticò: in Boris 4 l’astro nascente della settima arte (e non solo) recita nei panni di una comparsa calabrese, Angelo, chiamata a interpretare un uomo palestinese.
Gli sceneggiatori di Boris vogliono perciò dirci che in Calabria si parla come in Palestina?
«Probabile, ma a Reggio no, forse è così in altre zone (ride, ndr). A parte gli scherzi, Boris dimostra di saper essere dissacrante, di ironizzare sugli stereotipi e in questo caso su quelli che contraddistinguono i calabresi, pensati come possessivi (Non a caso «Lalla è mia», ndr) e legati alla ‘ndrangheta di zio Michele (Giuseppe Piromalli, ndr)».
Com’è stato stare su un set così amato da tutti?
«Fantastico. Un sogno per uno come me, che ne è sempre stato fan. Poi le new entry sono state accolte benissimo: si è creata una grande famiglia, pronta a condividere anche le storie riguardanti chi oggi non c’è più. È stato come entrare in contatto sia con Mattia Torre sia con Roberta Fiorentini».
Grazie al personaggio di Angelo, mostri tutta la tua versatilità. I tuoi ruoli precedenti sono stati quasi sempre legati alla figura del “cattivo” (da Brusca ne Il cacciatore di Lodovichi e Marengo a Scarpuzzeddra ne Il traditore di Bellocchio fino a Carlo Cosco in Lea di Marco Tullio Giordana).
«Sì, con Boris ho mostrato anche quest’altro mio lato, ché poi io sono più portato verso la comicità. Tuttavia, il lavoro dell’attore è raccontare storie e personaggi. Forse non può essere così meccanico distinguere tra buoni e cattivi. Dietro c’è tutto un lavoro di sfumature, che porta a tirare fuori la bontà dalla cattiveria e, viceversa, la cattiveria dalla bontà».
A ogni modo un percorso straordinario il tuo. Partito proprio da Reggio.
«Recitare è sempre stata una passione. Da piccolissimo ho fatto i primi spettacoli. Alla “Mediterranea”, dove mi sono laureato in Architettura, ho seguito i laboratori teatrali di Marilù Prati e Renato Nicolin. Poi sono andato via dalla Calabria, dove comunque continuo a tornare spessissimo, per iscrivermi alla scuola del teatro stabile di Genova. E così quella passione è diventata un lavoro».
A proposito di lavoro, progetti futuri?
«Ho appena finito di girare un film tratto da La festa del ritorno di Carmine Abate: è l’opera prima di Lorenzo Adorisio, ambientata nella Calabria degli anni Sessanta-Settanta e incentrata sul rapporto padre-figlio, sull’emigrazione, una storia universale. Inoltre, il prossimo 30 novembre esce su Netflix il primo action movie italiano, dove interpreto l’antagonista di Alessandro Gassman. Si intitola Io sono vendetta; e sempre per Netflix in uscita c’è la commedia romantica Odio il Natale, insieme a Briganti, pronta nel 2023. Infine per la Rai ho girato Il nostro generale, interpretando Umberto Bonaventura, stretto collaboratore di Dalla Chiesa».
Un momento d’oro (e meritatissimo), insomma. Che, tra l’altro, ribalta lo stereotipo (di cui sopra) sui calabresi che non ce la fanno.
«Esatto. Io non sono neanche figlio d’arte. Può essere un segnale forte, anche perché spesso indossiamo il cappotto di quelli che hanno mille difficoltà e non riescono a fare le cose. A volte tutto questo è un alibi».
Torniamo a Boris. Prima scena girata?
«Ho rotto il ghiaccio buttandomi nel fango per il battesimo di Gesù davanti a Guzzanti e Sermonti. Più battesimo di così».
In ultimo, la domanda che non fa dormire uno dei nostri colleghi. Il selfie che Angelo invia a Lalla nella seconda puntata della serie, è “vero” o frutto della computer grafica?
«Ovviamente è autentico (ride, ndr)! È un’altra delle prime cose, insieme al battesimo, che mi hanno fatto girare. Pensa tu».
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