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È tempo di lumache. In questi giorni di ripetute, abbondanti piogge, che annunciano la piena attività dell’autunno con i suoi frutti fuori e dentro la terra.

Da fine maggio in letargo col nome di vermaturi, le chiocciole o lumache, grazie al terreno pregno d’acqua, dopo essersi liberate della pellicola bianca dentro cui hanno dormito per mesi, sono uscite all’aria aperta in grande quantità, prendendo il nome di vovalaci, bufalaci (dal greco, piccolo bufalo), bovalaci, sugli (a Platì), a seconda della dizione dialettale di essi nei vari paesi della fascia ionica reggina.

In passato, in tempi di bisogno, le lumache, in forma chiusa o aperta, costituivano, comunque, un gustoso, gratuito cibo per soddisfare la fame, esigenza che giustificava la corsa a raccoglierle, a volte anche piovendo, in determinati posti coltivati a sulla, fave e favetta da parte di intere famiglie dal più piccolo al più grande dei suoi membri.

Oggi sono pochi coloro che vanno a raccoglierle, anche perché i paesi soprattutto interni sono abitati prevalentemente da anziani in totale disarmo. In compenso, a continuare questa bella tradizione, che comporta il contatto diretto con la natura, ci sono gli immigrati indiani soggiornanti a Bruzzano Zeffirio e dintorni da parecchi anni.

Gente pacifica, educata, servizievole e amante del lavoro, gli indiani, dotati di non comune spirito di adattamento ovunque vadano, sono eredi, la quasi totalità di essi, della tradizione di non violenza diffusa dal Mahatma Ghandi, simbolo del pacifismo. Soltanto una sparuta minoranza di essi è, invero, dedita all’alcol, retaggio poco onorevole della dominazione inglese, presente in India fino al 1947. Ebbene, se ancora resiste la tradizione di andare, alle prime piogge autunnali, a raccogliere lumache sui terreni di Bruzzano Zeffirio, Motticella, Ferruzzano ed in quelli lungo la strada provinciale per Staiti, il merito è proprio di questi immigrati indiani, che, dopo averle raccolte, le vendono a modico prezzo agli abitanti che gliele prenotano in anticipo.

Prima del boom economico degli anni sessanta, la raccolta delle lumache, oltre che sana quanto antica tradizione, rappresentava un rito che coinvolgeva tutta la comunità paesana, una festa per tutti, ricchi e poveri, una comune costumanza basata sull’allegria e sull’ottimismo, che avvicinava le persone di vario livello sociale, consuetudine, purtroppo, sparita e da tempo.

Immigrati come gli indiani, tranquilli e senza fisime o rivendicazioni di sorta, vanno rispettati ed aiutati, non dimenticando che i nostri asili e pure le scuole elementari sono aperti grazie anche alla frequenza dei loro figli, che le loro donne sono badanti sicure dei nostri anziani e che da ora in poi possiamo ritenerli anche custodi tenaci delle nostre più briose quanto suggestive tradizioni.

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Stefano Mandarano

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