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I Bronzi di San Casciano

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Al Museo di Reggio esposti contemporaneamente i pezzi bronzei più famosi: i Bronzi di Riace e i Bronzi di San Casciano


Sbronzi di Bronzi, e non ci basta. L’estate reggina al tempo di Ryanair offre prospettive insolite e bisogna mettersi in fila per scoprirle. Al livello E del Museo, vicino alla necropoli ellenistica che apre ogni tanto grazie ai volontari del Touring Club, è stata appena inaugurata la mostra dedicata ai bronzi di San Casciano: le statuette sono emerse dalla vasca sacra negli anni della pandemia nella località termale toscana, ancora ricca di bagni caldi come al tempo degli etruschi e dei romani. Gli ammalati di bronzite nella definizione del professor Daniele Castrizio (“bisogna andare a trovare i due guerrieri almeno una volta al mese per non avere attacchi di panico”) non possono farsi sfuggire la doppia occasione. E quindi eccoci qui, un piano sotto la statua A, la B e i selfie in bermuda, davanti a questo inedito gemellaggio.

ANALOGIE E DIFFERENZE TRAI BRONZI DI SAN CASCIANO E I RONZI DI RIACE

Che cosa unisce i Bronzi greci a quelli di San Casciano? Naturalmente il materiale in cui sono stati creati: la stessa lega di rame e stagno. Ma sarebbe presuntuoso cercare altre analogie. Cambia il colore, il “naso toscano” delle statuette etrusche è un segno inconfondibile rispetto a quello da chirurgia estetica dei due greci, ma il paragone va fermato subito per non fare trasalire e imprecare un qualunque studente in Archeologia. In realtà siamo noi che li mettiamo insieme, è la nostra memoria collettiva che li ha portati a Reggio Calabria, e così sarà fino ai primi di gennaio.
Perché i Bronzi di Riace furono esposti al Quirinale dopo il restauro, e lo stesso è successo a quelli di San Casciano. Perché fu il presidente Pertini dire “Vanno a Reggio” e così fu. E perché sono stati i giornali, i siti e i tg a parlare nel 2022 “della più grande scoperta cinquant’anni dopo Riace”, ed era naturale che andassero tutti a vivere insieme, almeno per sei mesi.

Certo, i Bronzi di San Casciano sono trasportabili. Non stanno su una piattaforma antisismica in marmo di Carrara, non sono fragili come le due statue arrivate dall’officina di Argo, sono più giovani di qualche centinaio di anni e vanno trattati con la cura che si dà ai bambini. Possono essere visti da vicino senza che suoni l’allarme, perché sono protetti da un vetro, raffigurano varie divinità e personalità – la Fortuna, il togato, il malato – e daranno una spinta importante alla decifrazione della lingua, visto che si portano addosso iscrizioni in etrusco e latino. Quindi anche loro racchiudono molti misteri che saranno il pane per generazioni di studiosi. Gireranno l’Italia per poi finire in un Museo che nascerà per accoglierli.

LA MOSTRA

La mostra di San Casciano è introdotta da un filmato sul ritrovamento, che è stato un processo lungo e tenuto giustamente segreto fino all’annuncio ufficiale. E quindi fanno parte della mostra le facce allegre dei ricercatori, queste statuette che emergono lucide come fiori dal fango, ripulite con amore. E questo è il primo suggerimento per Reggio. Perché la preparazione alla visita ai Bronzi non ha la stessa sceneggiatura, anche se c’è un filmato, su un monitor piccolo e quasi senza audio.

È vero, il sub Stefano Mariottini trovò i Bronzi 52 anni fa, allora i mezzi della tecnologia e della comunicazione erano diversi. Ma il direttore del Museo Fabrizio Sudano avrà sicuramente invidiato la scenografia che San Casciano regala dei suoi gioielli. Immaginate ora la visita ai nostri Bronzi preceduta dalle immagini in bianco e nero del ritrovamento e del recupero, i vari restauri compreso quello in cui fu coinvolto il reggino Nuccio Schepis, certi particolari che il visitatore non può cogliere, perché i Bronzi sono alti 1,98 e 1,97 e stanno pure sulla piattaforma. Sarebbe un contributo moderno alla loro bellezza.
Un giorno l’ex sottosegretario Vittorio Sgarbi, paracadutatosi a Reggio per la campagna elettorale, disse che i bronzi di San Casciano potevano al massimo fare da soprammobili a quelli di Reggio. La battuta sollevò qualche risata interessata, ma quello è stato l’unico momento di contrapposizione. Anzi dalle parti della Val d’Orcia si parla anche di un prossimo gemellaggio fra le due città.

I PARTICOLARI

Anche perché la mostra vale, anche nei più curiosi particolari: come ad esempio un piccolo pene esposto in una vetrina insieme ad altri oggetti neovotivi, un rene, un orecchio… E il pensiero non può non andare al membro del Filosofo, che il sub reggino Peppino Mavilla consegnò alla Soprintendenza nell’anno di grazia 1969, insieme al famoso volto che oggi fa compagnia ai Bronzi nella sala più grande del Museo disegnato da Piacentini. Anche qui Sgarbi potrebbe fare qualche battuta sulle proporzioni, a noi fa un po’ pena pensare a quel pene solitario del Filosofo chiuso in qualche armadio negli uffici con vista Piazza de Nava.

Ma bando alle polemiche e ai lamenti: che questa sia la stessa città dello splendore dei Bronzi greci e romani e del minibus di Borgo Croce bruciato, è un segno di quello che la Calabria è oggi. Un territorio a macchie dove la bellezza può vincere, ma solo con l’impegno e le idee giuste. E quella di portare i Bronzi qui – chiunque l’abbia avuta – è stata una grandissima idea.

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