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REGGIO CALABRIA – Cetty Costa ha 42 anni, vive a Reggio Calabria, dove lavora come consulente immobiliare, e a febbraio dello scorso anno ha contratto un’unione civile con quella che oggi è sua moglie. Insieme hanno una bambina di cinque mesi, concepita con una fecondazione in vitro a Madrid, in Spagna.

«Il sogno di un figlio – spiega la donna a questo giornale – per noi si è tramutato in un percorso lunghissimo, fatto di viaggi mensili, sacrifici, incertezze causate dalla burocrazia e sì, costi elevatissimi. Credo che in totale, tra le spese relative agli spostamenti e quelle per la Fivet, se ne siano andati oltre 30mila euro. Ecco – chiosa Cetty Costa – se io e mia moglie, di professione psicoterapeuta, non fossimo state benestanti, non avremmo minimamente potuto pensare di intraprendere un percorso di questo tipo e non sarebbe stato giusto, non lo è per chi non ha i mezzi per sostenere i costi legati alle tecniche di procreazione medicalmente assistita; perché, al contrario di quanto sostenuto dalla ministra per la Famiglia Roccella, esiste un diritto a diventare genitori, un diritto che prescinde dall’orientamento sessuale di ciascuno».

E così il figlio sognato dalla coppia reggina – costretta a rivolgersi a un centro all’estero perché in Italia alla Pma possono accedere solo coppie sposate o di fatto eterosessuali (sono esclusi anche i single, oltre che gli omosessuali) – dopo molti ostacoli è arrivato.

«Un percorso di un anno, fatto, come dicevo – ribadisce Cetty Costa –, di viaggi mensili Reggio-Catania-Madrid, e, soprattutto, successivo a molteplici tentativi di fecondazione assistita andati falliti. Se non abbiamo pensato all’adozione (la cosiddetta “adozione in casi particolari”, i cui effetti sono assimilabili a quelli che regolano l’adozione del figlio del partner, o “stepchild adoption”, ndr) è perché, visti i tempi ancor più lunghi, ci è stata sconsigliata. Tra l’altro – prosegue Costa –, nel nostro Paese, procedendo ancora una volta a sfavorire i diritti dei minori ad avere una famiglia, adottare un bambino è quasi un’utopia per le coppie etero, figuriamoci per noi. Mia moglie, poi – continua –, sentiva, a 30 anni, l’esigenza di una gravidanza, ma anche questa è una istanza che, molto spesso nella nostra società, viene sottovalutata».

Dunque, dopo quella che può essere considerata una vera e propria odissea, fortunatamente andata a buon fine, le ultime dichiarazioni del Governo che, in assenza di una legge nazionale, vorrebbe bloccare i sindaci che riconoscono le famiglie omogenitoriali, tornano a minare quella certa serenità agognata e poi conquistata dalle coppie.

«Le preoccupazioni che la nostra famiglia – dice ancora Cetty Costa –, a causa di qualunque atto burocratico, possa fare “un passo indietro” è grandissima. La mancanza di una normativa che ci tuteli, discrimina i figli delle coppie omogenitoriali. A me – dice Costa – non interessa, non essendo la madre biologica, che mia figlia non abbia lo stesso colore dei miei occhi o la stessa mia forma del naso, per me è mia figlia, sono sua madre, e per questo motivo ho necessità che i suoi diritti, i diritti della mia bambina, vengano salvaguardati dallo Stato. Mettiamo il caso che mia moglie parta per lavoro – prosegue –, e che alla bambina serva un farmaco salva-vita, perché io non potrei farglielo somministrare in nome di un vulnus normativo?».

Come a dire, insomma, che il vuoto legislativo sulla genitorialità omosessuale nuoce alla certezza del diritto. E discrimina tra figli e figli. Tra l’altro esistono anche due sentenze della Corte Costituzionale (32 e 33 del 2021) che imporrebbero su tale aspetto una legge perché la sua assenza, parafrasando i testi delle rispettive pronunce della Consulta, offenderebbe gravemente il diritto del minore.

«L’essere genitori – afferma Cetty Costa – non è dato dal Dna, ma, per tutelare i nostri figli, abbiamo bisogno di documenti, di firme e nulla dovrebbe essere lasciato, al contrario di quanto accade, alla discrezionalità di un sindaco o di un funzionario che può pensarla diversamente rispetto all’omologo di un altro territorio. Dal momento che in Italia i bambini di famiglie omogenitoriali sono circa 150mila – aggiunge la donna – io credo che il governo dovrebbe solo smettere di fare dichiarazioni così demagogiche e non al passo coi tempi, e “normalizzare” qualcosa che è assolutamente naturale. Io, almeno è la mia esperienza a dimostrarlo, credo che la comunità sia pronta: Reggio, pur essendo una città del profondo Sud, si dimostra giorno per giorno aperta. Chi sta al comando, quindi, i vertici istituzionali – dice – dovrebbero semplicemente ascoltare le persone e magari, una volta cresciuti, anche i figli nati all’interno di famiglie omogenitoriali».

Segni di apertura, di conseguenza, che Cetty e sua moglie riscontrano quotidianamente nella realtà, periferica, in cui vivono «e che non arrivano invece, per tutte le coppie omogenitoriali, da chi sta al potere». «Persino la Chiesa ci ha accolte – conclude Costa – A giugno, dopo quello che sarà l’incontro col vescovo della nostra Diocesi che ha espresso la volontà e il desiderio di incontrarci, battezzeremo la nostra bambina. Quando l’abbiamo chiesto al sacerdote della parrocchia a cui ci siamo rivolte, lui ci ha ringraziate “per aver messo al mondo una creatura”». Da difendere e tutelare. Come tutti i bambini, nati o sognati.

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