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Sono loro le vittime invisibili dei femminicidi, bambini e bambine spesso costretti a vivere la violenza quotidiana a cui vengono sottoposte le loro madri, e a qualcuno di loro è toccato anche assistere alla loro uccisione.
Alessandra Manti aveva 10 anni il 19 settembre del 2008, quando sua madre Orsola Nicolò fu uccisa da suo padre a Montebello Ionico in provincia di Reggio Calabria.

E fu sempre lei ad avvisare i carabinieri e ad allertare i soccorsi. Poi la cronaca si occupò dei particolari dell’efferato omicidio scavando in quelle vite apparentemente normali. Restavano nell’ombra i tre figli della coppia: Romolo, il maggiore, da tempo emigrato in Francia, e Alessandra e Antonio, solo di tre anni più grande di lei e disabile, affidati alla sorella di Orsola, Marina, che li portò a vivere con lei in Piemonte. Da quel momento in poi, la loro storia fu inghiottita da una quotidianità lontana dai riflettori ma non priva di difficoltà e di ricordi dolorosi.

Oggi ha 23 anni Alessandra, frequenta un master in cooperazione internazionale e da tempo si è riunita con i fratelli che vivono in Francia.

«La mia storia – spiega Alessandra – è simile a quella di tante altre persone che sono state costrette ad assistere a episodi di violenza continui alla quale non ti abitui mai anche se alla fine li interiorizzi e diventano la tua normalità. Se non hai qualcuno al di fuori dell’ambito familiare che ti fa notare che quel comportamento è sbagliato, non riesci a decifrare bene quei comportamenti e fai solo fatica a trovare la maniera giusta per convivere con quello stato di cose, ma non riesci nemmeno a intravedere dove ti può portare tutta quella violenza. Credo che siano necessari dei supporti esterni perché il ruolo dei servizi sociali è fondamentale, come quello della scuola e di tutte le realtà presenti su un territorio. Se io avessi avuto qualcuno in grado di seguirmi e di indicarmi la strada giusta, probabilmente ne sarei venuta a capo, così come mia madre».

Alessandra non si aprì mai all’esterno, neanche a scuola con qualcuna delle sue compagne. Forse non riuscì mai a trovare uno spazio di reale confronto. Sua madre Orsola d’altronde, aveva deciso di porre fine a quella storia che la soffocava e che non aveva più ragione d’esistere. Tutto sembrava avviarsi verso un nuovo progetto di vita.

«Dopo la morte di mamma la mia vita è profondamente cambiata – continua -. Mia madre era il mio unico pilastro e non è stato facile adattarmi alla sua assenza. Ma ero anche una bambina con l’entusiasmo per le cose nuove. Nonostante questo però, l’angoscia mi ha sempre accompagnato, il fatto di non avere al mondo una persona che ti aspetta e ti accoglie dopo qualsiasi cosa, ti procura un vuoto interno enorme. Ci si abitua al dolore dell’assenza, ma la malinconia che avverti dentro di te, quella non passa mai. Soprattutto non smetterai mai di chiederti cosa sarebbe stata la tua vita se lei ci fosse stata ancora. Noi abbiamo dovuto lasciare la nostra casa, seguire mia zia in Piemonte, cambiare il contesto in cui fino ad allora avevamo vissuto. Non è stata una passeggiata. Io sono rimasta con mia zia finché non ho finito le scuole superiori e poi mi sono trasferita a Roma per frequentare l’università. Lungo tutto il percorso che ho fatto e ancora oggi, quello che mi manca è un appoggio vero come solo una madre può dare».

Alessandra, nonostante la sua storia difficile, è sempre riuscita a fare ciò che doveva, a realizzare i suoi progetti e a camminare sicura nelle strade del mondo.

«Questo lo devo ancora a mia madre – prosegue -. Lei è sempre stata una mia grande sostenitrice. Ricordo che era entusiasta dei miei traguardi scolastici e questo mia ha sempre dato la voglia di continuare a farlo anche se oggi non le posso far vedere dove sono arrivata. Forse la mia è anche una storia di riscatto per tutte quelle donne che sono intrappolate in storie di violenza e che per mancanza di strumenti culturali e indipendenza economica, non possono liberarsi da quella stretta mortale. La violenza ha sempre più facce. Se le donne verranno lasciate da sole, non avranno mai la possibilità di emanciparsi da una condizione di subalternità rispetto a mariti e uomini violenti».

Dopo la laurea alla Sapienza di Roma, intervallata da due esperienze all’estero nell’ambito del progetto Erasmus, Alessandra ha continuato a studiare. Il suo campo di azione è la cooperazione internazionale. Sente di voler aiutare gli altri, di dare loro la possibilità di autodeterminarsi.

«E molto difficile inserirsi nei contesti internazionali – conclude – però è solo facendo qualcosa per gli altri che mi sento completa, appagata».

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