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UNA vicenda oscura, in cui spunta un “dottor P.”, in cui si racconta online un’altra verità e in cui su un sito il nome in codice “Folgore”, l’ex capitano del Ros?, attacca Maressa. Il web è la nuova casa dell’informazione e proprio su internet, precisamente su due siti, si consumano gli atti di quello che rimane a questo punto un vero e proprio mistero. Il primo round si apre sul sito “Loschermo.it” dove l’ex comandante del Ros di Reggio Calabria, nome in codice “Folgore”, si rivolge a Maressa invitandolo a rivedere in chiave più veritiera i fatti raccontati nel libro “La Mala Vita”. «Voglio fare un doveroso commento – scrive l’ufficiale – a scioglimento di qualsiasi riserva mentale che ciascun lettore potrebbe farsi in relazione a quella suggestiva ricostruzione che tu fai circa il presunto ordine ad intervenire che mai arrivava e che, nella tua sconfinata fantasia, ti avrebbe indotto, ancora una volta, a scuotermi e a convincermi a prendere una decisione. Caro Nino, ma dove vuoi arrivare? Ma che vuoi lasciare sottinteso? Che pruriti vuoi scatenare? Perchè guarda, fino a quando si gioca alla fiction certe libertà sono pure ammesse, ma poi quando si distorce la verità con gli ammiccamenti, con il dico e non dico, inizia l’infangamento della dignità altrui. Non ci fu mai nessun tentennamento da parte del Maggiore, su di lui è gravata la vera responsabilità di tutta l’operazione, perchè vedi, se qualcosa fosse andato storto, tu forse non avresti scritto il libro, ma il comandante avrebbe dovuto invece fornire delle spiegazioni. Quindi, tutto quel teatro che descrivi, non solo non è mai avvenuto ma non ce ne sono state neanche le premesse. Tutti sanno che il 18.02.2004 procedemmo alla cattura di Morabito Giuseppe e di suo genero Pansera Giuseppe nella tarda mattinata dopo l’ok ad intervenire ricevuto dal posto di osservazione in quel momento in atto». 

Qualche giorno dopo sul sito del giornale online “Linkiesta” arriva invece il commento al libro di Maria Morabito, che dice di essere la nipote di Giuseppe Morabito e anche del defunto Domenico Morabito. Anche lei è dura con gli autori del libro ma soprattuto sottolinea una versione dei fatti differente. «Le mie zie – scrive sul sito riferendosi al racconto della sera della cattura e della morte dello zio – lo sentono urlare “non sparate sono disarmato “ e subito dopo dei colpi di pistola e una macchina sgommare via a tutta velocità… mi dispiace dirlo ma così è stato quello di mio zio fu un omicidio di Stato». 

La donna che si firma come la nipote del boss di Africo racconta di una tesi, quella messa in campo dagli autori basata sui “se” e sui “si dice” che non racconta le verità storiche dei fatti. «L’ultimo nodo da sbrogliare – scrive ancora Maria Morabito è “l’agghiacciante“ telefonata intercorsa tra mia zia e Elena, che è di così semplice interpretazione che mi sembra strano che Maressa, essendo del posto, non sia riuscito a farlo correttamente, come fa a non sapere che “carticegghja janca” (carticella bianca) viene utilizzato per indicare qualcosa o qualcuno che appare pulito, integerrimo, candido (come il colore bianco) ma in realtà è marcio… “mio padre, dice la zia nella telefonata ha diffidato quella particella bianca…” riferendosi alla diffida che mio nonno ha fatto al dott. P. e la carticella bianca è proprio il dott. P. in persona e quello che segue nella telefonata di mia zia, non è altro che lo scandalo che ha coinvolto allora il dottor P. e il suo “compagno di merenda” accusati da un agente del Sismi di essersi appropriati di quei soldi».

 

 

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