Un rigassificatore
4 minuti per la letturadi PANTALEONE SERGI
Se le cose fossero andate secondo i programmi della Giunta regionale della Calabria e dell’Autorità portuale di Gioia Tauro del tempo, in tema di approvvigionamenti energetici messi in ginocchio dall’aggressione russa all’Ucraina oggi non saremmo – scusate se la battuta viene scontata – alla canna del gas.
La Calabria ne avrebbe avuto da tempo benefici soprattutto in termini occupazionali e produttivi e le navi gasifere da almeno 10 anni avrebbero scaricato gas liquefatto attraccando all’esterno del porto di Gioia dove si doveva creare un impianto di rigassificazione, stoccaggio e distribuzione del gas naturale che avrebbe consentito anche la realizzazione di una piastra del freddo nel retroporto, legame tra l’attività portuale e il territorio che avrebbe dovuto costituire la motivazione in più per far preferire lo scalo marittimo calabrese a qualsiasi altro in Europa.
Quel progetto stava tra le priorità di Governo presentate dal Presidente della Giunta Agazio Loiero al Consiglio Regionale nel mese di settembre 2006. Sedici anni fa. Se avesse avuto l’accelerazione che la giunta Loiero avrebbe voluto imprimere, oggi la dipendenza così marcata dalle forniture di gas della Russia forse non ci sarebbe stata o almeno sarebbe stata nettamente minore.
La nuova piastra del freddo progettata avrebbe di certo stimolato l’atteso sviluppo imprenditoriale capace di usufruire finalmente, perché a costi eccezionalmente competitivi, delle enormi opportunità offerte da un porto leader nel mondo.
Solo in questo modo, s’affannavano a spiegare i tecnici a orecchie che non volevano sentire, si sarebbe data finalmente una forte risposta occupazionale. Basta rileggere le cronache del tempo per rendersene conto: tra impianto di rigassificazione (altri 150), piastra del freddo (700), servizi di logistica (250), si sarebbe arrivati a un’occupazione diretta di 1100 nuovi addetti e a 3000 di occupazione indotta. Per la Calabria non sono bazzecole. Se si considera, infatti, che allora lavoravano al porto 1200 persone. E sappiamo delle tribolazioni occupazionali nell’ultimo decennio almeno.
Si scommetteva allora sulla catena del freddo (che avrebbe avuto ricadute importanti per l’agroalimentare calabrese), senza rinunciare ad altro, zona franca compresa. Ci scommettevano industrie di primo piano come la Società Petrolifera che faceva capo a Franco Sensi, mitico presidente della Roma che aveva programmato un investimento di 340 milioni di euro, e la società LNG Medgas Terminal Srl che faceva capo a De Benedetti che ne ereditò il progetto ed era pronta a metterci qualche euro in più pur di riuscire nell’impresa.
Quel rigassificatore da realizzare a Gioia Tauro di cui oggi, si torna a parlare come necessità impellente, senza che la proposta abbia, almeno al primo impatto, l’opposizione che ebbe il progetto perseguito da Loiero, allora osteggiato all’interno della stessa maggioranza di centrosinistra e non solo per presunti rischi ambientali. Nonostante il presidente dell’Autorità portuale Giuseppe Guacci, progetti alla mano, s’affannava a spiegare a destra e a manca, che un’isoletta sottile, dove sarebbero attraccate le navi colme di gas, avrebbe separato dal mare aperto il lungo canale allargato, dotato di una seconda darsena e un secondo imbocco a nord: tutti lavori di infrastrutturazione necessari per rendere più flessibile il transito nelle navi nel canale portuale, spiegò all’epoca. Senza alcun pericolo per l’ambiente. L’impianto di rigassificazione, assieme alla piattaforma del freddo, avrebbe incentivato lo sviluppo dell’attività dell’hub interportuale e della stessa Calabria.
L’economia di guerra, determinatasi dopo l’aggressione russa all’Ucraina, le sanzioni occidentali, l’aumento stratosferico del prezzo del gas, hanno riproposto con urgenza la necessità di approvvigionamenti diversificati per cui il governo Draghi sembra orientato ad aumentare, visto il loro ruolo strategico, il numero dei rigassificatori nel nostro Paese. Torna in auge, così, la vecchia idea di Gioia Tauro. Il nuovo progetto di Iren e Sorgenia prevede una struttura capace di gestire 12 miliardi di metri cubi di gas all’anno. È tanto, anche se non è mai troppo, specialmente in tempi di crisi che si allungheranno ancora per anni e che potrebbero ridurre in una condizione di crisi epocale l’economia italiana e dei Paesi europei.
Sedici anni fa in tanti, con miopia e una buona dose di stupidità politica, si misero di traverso. Gli avvenimenti di oggi impongono scelte drastiche e veloci, nell’interesse di Gioia Tauro, della Calabria, del Paese e dell’Europa. Tacciano quindi i professionisti del no.
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