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Il direttore del Quotidiano, Massimo Razzi e il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà

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Il sindaco di Reggio Falcomatà, in un’intervista esclusiva al Quotidiano del Sud, si difende e risponde sui temi dell’inchiesta Ducale e spiega perché secondo lui la città non verrà commissariata


Esiste una questione morale a Reggio Calabria? Il sindaco Giuseppe Falcomatà, lo nega, si difende e attacca davanti alle nostre domande sul tema e sull’inchiesta “Ducale”: «Massimo rispetto per l’inchiesta e per i magistrati che la conducono. Ma io sono certo di non aver fatto nulla di male. Per questo, continuerò a fare il sindaco col massimo impegno. Il resto sono manipolazioni politiche che vengono da un candidato sindaco sconfitto e da altri due che vogliono candidarsi al prossimo giro. Mi rendo conto che c’è un problema, ma sono tranquillo e lo affronto così».

Abbiamo incontrato Falcomatà nello studio di palazzo San Giorgio, l’ufficio che fu anche di suo padre: le bandiere d’ordinanza, i mobili che fanno Storia. Seduto sulla poltroncina in un angolo dell’ufficio, vestito con camicia bianca e pantaloni chiari, pronto a infilarsi la giacca per correre all’inaugurazione del nuovo servizio di dialisi che parte dopo «una lunga attesa e una lunga battaglia politica». Ci ha convinto? L’uomo sembra sicuro delle sue ragioni e del suo comportamento: «Sono uno che si pone sempre la domanda “sto sbagliando o ho sbagliato qualcosa?”». Dice che nei due anni di sospensione dovuti a un reato (abuso d’ufficio) che adesso non c’è neppure più, si è fatto spesso quelle domande. In questi giorni, invece, non se l’è mai poste.

Ma noi non siamo del tutto convinti di questa sua sicurezza. Non perché riteniamo che dalle carte uscirà chissà cosa. Prendiamo atto delle risposte del sindaco, ma restiamo del parere che chiedere aiuto in campagna elettorale a certe persone sia stato un grave errore. E lo sarebbe anche se non ci fosse stata l’inchiesta “Ducale”. La risposta “ma Barillà era incensurato”, non cambia la situazione.

Le frasi intercettate dagli inquirenti e presenti nelle carte: “… Ho bisogno di una grande grande mano da te…” e “Votanti ne hai? Quanti ne hai?” continuano a rappresentare per noi un elemento di “questione morale”. E non solo a carico del sindaco, anche perché, nell’inchiesta ci sono consiglieri comunali come Peppe Sera (Pd), Mario Cardia (Lega), un consigliere regionale (Peppe Neri di Fdi) e Giovanni Bilardi ex senatore di Forza Italia. Vuol dire che tanti (tutti?) si muovevano per raccogliere voti nella zona grigia tra politica e malaffare e lo facevano con persone, magari incensurate ma sulle quali, già allora, circolavano voci.

Giusto? Sbagliato? Sul punto la nostra opinione diverge da quella del sindaco. Avendolo ascoltato, e riportando fedelmente quanto ci ha detto,restiamo dell’idea che una questione morale s’intreccia in maniera preoccupante con la politica reggina. Certo, non la risolverà l’eventuale commissariamento, né la risolvono le autosospensioni. Si risolve solo se i partiti tornano a fare il loro mestiere, se i candidati parlano di idee e progetti e non di voti da raccogliere chissà come e se certi faccendieri che, poi, vengono sempre a presentarti il conto, spariscono dalla scena.
Ecco la nostra intervista a Giuseppe Falcomatà sindaco di Reggio Calabria.

Sindaco, come va? Non è un bel periodo in questi giorni. Ma l’abbiamo visto molto presente in inaugurazioni, premiazioni ecc. E’ la normalità, o centra l’inchiesta? Altri indagati si sono chiusi in casa. Lei sembra aver scelto la strada opposta: ci sono, mi faccio vedere perché non ho nulla da nascondere. E’ così?

«No, non è una scelta né una conseguenza di quello che è successo, è semplicemente l’idea che il lavoro che stiamo portando avanti da dieci anni, sta iniziando a dare i suoi frutti e le persone iniziano a vederlo perché si tocca con mano. Penso naturalmente all’idea di fare recuperare alla città il suo rapporto con il mare. Oggi Reggio è una città “sul mare”. Noi vogliamo farne una città “di mare” . Si tratta di completare quello che aveva iniziato mio papà. E adesso i quattro chilometri di parco lineare sud sono completi, il tempietto è completo, il lungomare di Catona è finito e i lavori del lungomare di Pellaro e, del parco del Vento sono stati consegnati.
Sono tutte attività che, anche attraverso la quotidiana visita ai cantieri, ti portano a stare fuori, a stare a contatto con i cittadini in un momento storico in cui grazie anche alle attività culturali iniziate già dalla primavera, grazie al coinvolgimento con le associazioni, la città è viva. La presenza delle istituzioni è richiesta perché, quasi sempre, non siamo solo patrocinanti di questi eventi ma anche co-organizzatori. E un sindaco non si può permettere di perdere il suo rapporto con i cittadini. Anche oggi, più tardi, mi sembra alle 17 e 30, si aprirà il primo centro di dialisi privato in città frutto di una battaglia di questi anni fatta in prefettura con l’associazione delle famiglie dei dializzati, perché questo tipo di servizi non esisteva in città e questa è stata una questione lunga e complessa fatta di tanti tavoli e tante riunioni in Prefettura che oggi si completa».

E’ probabile che, incontrandola, i cittadini non le parlino dell’inchiesta. Ma ha capito cosa ne pensano?

«Ho capito che hanno bisogno di ascoltare una parola di verità da parte del loro sindaco, perché sentono tante strumentalizzazioni politiche che vengono da più parti. E il sindaco è colui che deve riportare le cose come sono. Io sono sempre stato molto rispettoso della fase delle indagini, l’ho fatto nella vicenda Miramare, nella quale non ho mai parlato se non nel momento in cui mi è arrivato il primo avviso di garanzia.
Anche in questo caso, mi sono limitato a una primissima dichiarazione, nel pieno rispetto della magistratura e degli organi inquirenti, nella convinzione che gli operatori del diritto non debbano essere tirati per la giacchetta. Ma proprio per lo stesso motivo non posso permettere che su questa vicenda, che è ancora in una fase embrionale, qualcuno si possa permettere di emettere sentenze o di dire delle cose che non stanno né in cielo né in terra, né tantomeno di avanzare richieste pretestuose come quelle delle dimissioni».

Si dice che, a un certo punto, il Pd le avrebbe chiesto, non tanto le dimissioni, ma una forma di autosospensione…

«Assolutamente no, il PD è stato informato subito della situazione carte alla mano. Perché io faccio parte della famiglia del PD, ma ho sempre detto che non voglio difese d’ufficio e che il mio partito deve essere pienamente consapevole della situazione. Questo è stato fatto e per me era importante, perché sentirsi parte di una comunità significa che tutti devono sapere che il sindaco è una persona specchiata che fa della trasparenza, del rispetto delle regole, una ragione di vita».

In alcuni dei nostri articoli ci siamo chiesti se esiste una questione morale a Reggio, se è complicato per un politico che si candida nelle elezioni, fare in modo che la sua campagna elettorale sia del tutto priva di incidenti di quel genere. Se quando queste cose sono successe lei ha pensato: “Posso parlare con queste persone?”. E ancora: sapeva con chi stava parlando quando incontrava Daniel Barillà? Sapeva che quel tipo di ricerca di voto può essere pericolosa?

«Mi pare che tutto questo sia stato già ampiamente chiarito dal GIP. In campagna elettorale ci si confronta con persone che sono, come è stato definito lo stesso Barillà, politici di lungo corso. Nel caso specifico Barillà era un incensurato, un professionista, una persona che lo stesso giudice per le indagini preliminari dice essere un politico. Gli incontri, per quel che mi riguarda, sono sempre avvenuti in segreteria. Anche qui è emersa la suggestione che Barillà sia entrato dalla porta laterale per non farsi vedere. Ma chi lo dice non sa che la mia segreteria era tutta a vetrate. Non c’erano aree riservate o vie non visibili da fuori. Il mio ufficio aveva un ingresso laterale, ma tutto pienamente trasparente. Anche quella era una scelta: niente segreterie chiuse con muri e porte che oscuravano la vista. E gli incontri sono stati pienamente trasparenti.
Così come mi pare, fino a prova contraria, erano trasparenti le persone descritte e fotografate in quella famosa cena. A meno che si vogliano definire persone non per bene un professore universitario, il presidente del circolo del tennis Polimeni e un avvocato il cui nonno ha il busto all’interno della sede della Corte d’Appello, tutti incensurati. Dove sta, dunque, la questione morale? E soprattutto, mi sento di aggiungere, chi chiede le dimissioni del sindaco per cosa le chiede? A chi gioverebbero? Alla città? Ci sarebbe un miglioramento per la città se venisse meno la volontà democratica e popolare di avere eletto il sindaco Falcomatà? Non credo e questo è stato chiarito in maniera autorevole anche da voci terze e non politiche. E poi, chi le chiede le dimissioni? Le hanno chieste un ex sindaco condannato, un candidato sindaco (Antonino Minicuci) che ha perso e due probabili candidati sindaci.
Non mi pare che la richiesta di dimissioni sia venuta da quel mondo di associazioni, di cittadini, di persone con le quali questa amministrazione si è confrontata e ha dialogato e che sanno bene qual è l’imprinting di trasparenza, di rispetto delle regole e di ripristino della legalità di questa amministrazione. Ricordo che noi ci siamo insediati la prima volta dopo uno scioglimento del consiglio comunale per contiguità mafiosa negli appalti, perché il Comune non aveva aderito alla Stazione Unica Appaltante (SUA), usava spesso le società miste, porta d’ingresso delle cosche e non aveva l’avvocatura interna. Noi abbiamo subito aderito alla SUA, posto fine alla stagione delle società miste e organizzato l’avvocatura interna».

Sì, però, oggi ci sono almeno quattro consiglieri comunali coinvolti in un’inchiesta in cui si parla di voto di scambio politico mafioso. Non si rischia che fra qualche settimana arrivi la commissione d’accesso e il comune venga sciolto? Comuni sciolti per motivi analoghi ce ne sono stati.

«Io credo che la commissione d’accesso sia una suggestione alimentata dalla destra che ne sta facendo strumento di lotta politica sulle spalle della città. Per me non ci sono le condizioni per l’arrivo di una commissione d’accesso. Sappiamo benissimo però che la decisione in merito è squisitamente di carattere politico che è totalmente scollegata dalle vicende giudiziarie. Comunque, dovrebbe essere verificata l’infiltrazione ‘ndrangheta all’interno dell’apparato comunale, negli appalti, nelle forniture, nei servizi, ecc. Cosa che, se vogliamo tornare a questa indagine, è stata già esclusa dal Gip. Non lo dico io, non lo dicono gli avvocati, non lo dicono gli indagati, lo dice il giudice per le indagini preliminari.
Allora, la Commissione d’accesso diventa uno strumento di lotta politica. Se è così diciamolo. Io sono rientrato dopo due anni di sospensione, dopo un’assoluzione in Cassazione, per un reato che la stessa Cassazione ha detto che, nel mio caso, non esisteva e che, adesso, è stato anche abrogato. Per due anni la città è stata privata della guida politica-amministrativa che aveva democraticamente eletto. Al mio rientro ci sono state le vicende della Giunta che hanno portato un’ulteriore fase di stallo, oltre a vicende di carattere personale, e adesso c’è questa nuova situazione che, ovviamente, come ho detto all’inizio, non mi impedisce di essere concentrato sul lavoro. Adesso ho due anni davanti per portare avanti il nostro progetto. Chi agita il commissariamento, lo fa in modo strumentale.
L’opposizione, oggi, non è costruttiva e non ha una proposta alternativa per la città. Dei candidati sindaco che si sono proposti a oggi, uno ha già perso in passato e un altro (Eduardo Lamberti) è riuscito a perdere a San Procopio contro la lista “civetta” che lui stesso aveva costruito per superare il problema del quorum. Insomma, è inutile agitare lo spettro della commissione d’accesso. Se le dimissioni servissero per la città, ci potrei anche pensare. Ma la commissione e la richiesta di dimissioni sono due fatti scollegati. E Minicuci ha fatto anche un pasticcio annunciando falsamente l’arrivo della Commissione e beccandosi la reprimenda del Prefetto».

Resta il fatto che, almeno per alcuni consiglieri comunali o regionali come Sera, Cardia e Neri la questione morale c’era. Dalle carte emerge che si cercavano voti attraverso personaggi di dubbia caratura e provenienza che, prima o poi avrebbero presentato il conto. E, in alcuni casi, sembra sia anche successo.

«In realtà no, perché dalle carte emerge che Daniel Barillà era una persona incensurata che faceva politica da tempo, che frequentava persone di livello e che aveva ricevuto incarichi addirittura dalla Chiesa a livello nazionale. Senza contare che, alla fine, nel ballottaggio del 2020, il candidato perdente, Minicuci, va meglio proprio a Gallico e Catona, i quartieri dove avrebbe “lavorato” Barillà».

Ma con questa persona oggi ci tornerebbe a parlare, avendo visto questi contatti, questi rapporti, che comunque emergono?

«Non si tratta di parlarci o non parlarci. Si tratta del tipo di rapporto che si ha con una persona. Ma se tu hai un rapporto di carattere politico con una persona che è incensurata, qual è la questione morale? Io questo non capisco».

Però dalle carte emerge che queste persone non raccoglievano voti andando a parlare con la gente al mercato o organizzando incontri o comizi. Sembra avessero canali ben oliati di consenso che, in qualche caso, portavano ai boss Araniti.

«Ma gli inquirenti, almeno nel mio caso, sono arrivati alla conclusione che Barillà agiva a titolo personale e non per conto del fratello del boss che, poi, era solo il padre di sua moglie. Dalle carte emerge che Barillà faceva politica».

Beh, se la mettiamo così, non ci sarebbe neppure stata l’inchiesta. Un altro dei personaggi che raccoglievano voti, Sergio Rugolino, ha avuto dalla città metropolitana (di cui lei era sindaco quando è stato proposto) un incarico da 73 mila euro per un progetto, “Walk the line” che, paradossalmente, puntava a impegnare i giovani sula legalità.

«Se si leggono oggi avvenimenti passati alla luce dei fatti o delle ricostruzioni emerse dalle indagini è chiaro che alcune cose sembrano in parte sconvenienti, però quando accadevano quelle cose magistrati e prefetti erano seduti a seguire le iniziative di Walk the Line. Tornando a Barillà, lui personalmente faceva quelle attività, era nell’OIV (Organismi indipendenti di Valutazione) di un sacco di comuni calabresi. Aveva un curriculum, era attivo a livello sociale, sua moglie faceva la ricercatrice universitaria, figlio di un’insegnante inglese e di un ferroviere.
Tu non potevi avere la percezione di parlare di un criminale, già oggi faresti fatica a definirlo un criminale. Io, se lo vedo per strada, non penso di star parlando con un criminale, perché è uno normale. E’ chiaro che adesso c’è un vizio di percezione. Oggi, dopo che ne hanno fatto una sorta di demone dici “ma forse era sconveniente parlarci”. Ma all’epoca era uno come noi. La sconvenienza emerge oggi, dopo l’inchiesta. E Rugolino che oggi qualcuno addita come uno dei cattivi, era seduto accanto ai buoni, quindi se tu lo vedi seduto accanto ai buoni immagini che sia buono».

La risposta che non c’è nulla di nulla lascia un po’ a desiderare. Perché una qualche forma di questione morale, in questa città, esiste, esiste anche se in un certo senso non la vogliamo vedere, perché, in quel momento, noi non sapevamo che quelle persone, con cui abbiamo avuto degli incontri, potessero avere dei rapporti o potessero fare determinate cose.

«Ma non è neanche dimostrato questo. Ripeto: c’era un rapporto di natura politica con una persona incensurata. E non è che allora non sapessimo chi era. Per quello che si sapeva era una persona normale e incensurata che faceva politica. E con lui ho fatto solo ragionamenti politici in campagna elettorale e quindi ho parlato di cercare voti. E sa anche perché non vedo la questione morale? Perché io vengo da una famiglia che ha subìto ritorsioni dalla ’ndrangheta. Penso al portone di casa bruciato per Piazza del Popolo, ma penso anche, senza dover andare troppo indietro, all’ultima delle tantissime demolizioni di manufatti abusivi che noi abbiamo fatto in questa città. Saranno stati quindici giorni fa. C’ero io e c’era il signorotto locale che mi ha minacciato davanti a tutti. E ho dovuto far intervenire la polizia locale.
Voglio dire: per chi quotidianamente combatte la ‘ndrangheta non a chiacchiere, non solo a protocolli d’intesa ma guardandola in faccia, proprio fisicamente che questione morale si deve porre? Noi la battaglia la facciamo sui beni confiscati con l’esenzione delle tasse comunali per le associazioni che gestiscono senza scopo di lucro beni confiscati alla mafia».

C’è un’altra questione morale, tutta interna alla politica. Come può succedere che diversi esponenti politici reggini passino così facilmente da un partito all’altro? Neri dal Pd a Fdi, Cardia dal Pd alla Lega e tanti altri. Cosa significa?

«Io lo attribuisco all’assenza di cultura di partito. Crescere all’interno di una sezione, fare la gavetta, ascoltare e capire che cosa significa fare politica te lo può dare soltanto l’appartenenza a un partito politico di cui noi oggi purtroppo scontiamo, ma non solo a Reggio, l’assenza. La scontiamo in quasi tutta Italia. Anche la mia amministrazione parte dalla costruzione di liste civiche che non hanno un’appartenenza partitica, ma nascono intorno all’idea di un progetto politico-amministrativo, intorno alla figura del sindaco per quello che è il mandato elettorale. Purtroppo a volte succede che le ambizioni personali prevalgano sul raggiungimento del bene comune. E quando queste cose emergono e non c’è una cultura e un’esperienza politica data dalla frequentazione di un partito inteso come comunità che ha una determinata visione del mondo, allora i cambi di casacca diventano, come dire, più ordinari di quello che dovrebbero essere.
Certe persone stanno dentro un determinato percorso politico soltanto finché hanno o sperano di avere determinati ruoli e posizioni. Nel momento in cui le aspettative personali non si realizzano o la fase politica cambia e magari uno da titolare si deve sedere per un periodo in panchina se non c’è il senso di appartenenza e se non c’è cultura politica arrivano i cambi di casacca».

Di tutta questa vicenda scaturita dall’inchiesta, ha parlato con i vertici nazionali del Pd?

«Certo, con i vertici nazionali e con quelli regionali. Il dialogo è continuo. Cosa dicono? Naturalmente mi conoscono: c’è massima fiducia e stima e l’auspicio che tutto si possa chiarire al più presto».

E se per caso arrivasse il rinvio a giudizio?

«Sono valutazioni che andranno fatte al momento opportuno. Per ora siamo in una fase troppo embrionale. A quel punto, eventualmente, faremo ragionamenti non tanto sulla mia personale posizione, ma su quello che sarà più utile per la città. Tutte le decisioni della mia vita hanno sempre guardato prima al bene comune».

Sindaco, nei due anni in cui è stato sospeso, qual è stato il suo pensiero? Non solo dal punto di vista politico, ma anche umano.

«Io sono una persona che si mette sempre in discussione e che non è mai pienamente contento di se stesso. Sono cresciuto con l’idea che si possa fare sempre meglio e sempre di più. E quando ti succede una cosa come quella cominci a pensare se e dove hai effettivamente sbagliato, se avresti dovuto o potuto comportarti diversamente. Ci ho pensato molto, ma non sono arrivato a darmi una risposta che mi facesse sentire colpevole di qualcosa».

E adesso?

«Onestamente, molto meno. So di non aver fatto nulla di male e vedo le strumentalizzazioni di chi vuole scaricare questa vicenda sulle spalle della città».

Lei ha perso da poco sua madre. Sappiamo che sua madre era molto importante per lei anche dal punto di vista dei consigli che le dava e di come la sosteneva. Ed era importante anche per la città. Cosa pensa che direbbe adesso?

«Ne parlavo qualche giorno fa con mia sorella. Le ho detto: Valeria, almeno questa alla mamma gliel’abbiamo risparmiata. A parte il fatto che sono certo che da lassù, insieme a mio padre, vedono e sanno tutto. Credo che abbia pensato che questo è l’ennesimo “regalo” che nasce dall’impegno politico e per il bene pubblico che la mia famiglia ha sempre messo al primo posto. E’ successo a mio padre, accompagnato, per tutta la sua vita, da vicende giudiziarie. E guardi, io sono certo che lo stress di queste vicende abbia minato anche la sua resistenza fisica. Non si muore di leucemia a 58 anni senza alcuna familiarità col tumore. Temo che quei fatti abbiano pesato sull’abbassamento delle sue difese immunitarie e, quindi, sulla sua scomparsa. Questa, per me è la quinta indagine. Supererò anche questa».

Pensa che sua madre, se ci fosse, la sgriderebbe, nel senso di dirle: perché ci metti sempre la faccia?

«Una madre non può arrabbiarsi col figlio se lo conosce come lei mi conosceva. E le dico un’altra cosa. Mia madre , che ha vissuto la politica in simbiosi con mio padre, non mi avrebbe mai detto di lasciar perdere. Soprattutto perché sapeva che io ero frutto dei loro insegnamenti. E loro mi hanno spiegato fin da bambino che il nostro compito è dedicarsi alla nostra città. C’è una bella canzone di Vecchioni. Si chiama “Celia de la Serna” ed è dedicata alla madre di Che Guevara.
Vecchioni usa le lettere tra Celia e suo figlio. Lei gli dice che ogni giorno spera di sentire il rombo della sua auto che lo riporta a casa e che rimane sempre un’illusione. E il Che le risponde di non dispiacersi perché lei l’ha educato all’impegno politico e se lui tornasse a casa, vorrebbe dire che avrebbe mollato. Che avrebbe perso. Non voglio esagerare, non mi sento il Che, ma mi ritrovo in quella canzone. Potrei lasciar perdere e tornare a casa, ma questo significherebbe una sconfitta e la fine della mia passione».

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