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Ponte sullo Stretto, a Villa San Giovanni la gente in piazza per farsi sentire e per ottenere risposte: un diritto di tutti


Il “no” al Ponte sullo Stretto è sceso in piazza, ieri, a Villa San Giovanni. C’erano i sindacati, le associazioni ambientaliste, la gente qualsiasi, gli amministratori comunali sulle cui spalle pesa questa complicatissima vicenda che avvelenerà le loro giornate per mesi. Forse per anni.

In una democrazia (e speriamo di restarlo per sempre) è normale. C’è chi vuole (per motivi tecnici, economici e politici) costruire questa enorme infrastruttura e per farlo solletica l’orgoglio degli italiani, parla delle nostre straordinarie capacità ingegneristiche che raccolgono e affrontano una sfida epocale, della necessità di collegare la Sicilia all’Europa e di investire miliardi che daranno lavoro a tanta gente per alcuni anni. Assolutamente legittimo, anche se è altrettanto legittimo chiedersi quanta gente porterebbe in più il ponte in una regione dove già arrivano ogni anno 16,5 milioni di persone da tutto il mondo e, soprattutto, perché si debba farle venire in macchina quando con aerei, treni e navi (migliorando le infrastrutture) potrebbero arrivare in Sicilia con tassi di inquinamento molto più bassi.

Ma la gente che ieri è scesa in piazza (LEGGI LA NOTIZIA) vuol farsi sentire (e ha tutto il diritto di essere ascoltata) su temi molto più terra terra, più vicini alle vite normali di tanti di noi. Perché spendere tutti quei miliardi (13,5, allo stato) quando non ho il treno veloce per arrivare a Reggio? Quando le strade che scendono lungo la Calabria e collegano i due mari che la bagnano, sono vecchie e pericolose? O quando sui binari delle ferrovia ionica corrono (si fa per dire) littorine a gasolio? E perché il ponte quando il 43% dei calabresi rinuncia a curarsi perché la Sanità funziona male e non sembra più essere il diritto uguale per tutti stabilito dalla legge 833 del 1978?

Il cittadino vuole sapere quale sarà l’impatto ambientale, se ci sono rischi dovuti alle faglie sismiche, al vento, al mare e sarà bene che la Società Stretto di Messina (come ha promesso e ha cominciato a fare) risponda punto per punto. Anche perché, le stesse domande (e molte di più) sono arrivate dai tecnici della Commissione ambiente del Ministero e, quindi, non erano campate per aria. Dunque, nessuno è disfattista per principio, ma essere cittadini, oggi, vuol dire prendersi il diritto di sapere, conoscere, interloquire, domandare, manifestare e lo Stato, se vuol le mega opere, deve ascoltare e ascoltare, rispondere e rispondere. Col sorriso sulle labbra.

Perché purtroppo il meccanismo per cui lo Stato (nelle sue articolazioni) decide ascoltando poco o niente i cittadini, lo abbiamo già visto all’opera molte volte. Come quando, nel 1964 cominciarono i lavori per costruire a Genova il Ponte Morandi. Pure allora si parlò (anche a ragione) di una grande opera dell’ingegneria italiana, del lavoro che avrebbe portato ecc. Ma sotto il ponte, dagli anni ’50 c’erano già sette palazzi di edilizia popolare abitati da circa 600 persone. Due piloni del Morandi furono eretti così vicini alle case che la facciata di un palazzo venne “incisa” per far passare la struttura. Allora, pochi protestarono, ma, ogni volta che ci passavi sotto, ti venivano i brividi. Chi disse qualcosa, venne tacitato nel nome della tecnica. Sappiamo come è andata a finire.

Oggi siamo cittadini più informati e consapevoli. Chi è sceso in piazza ieri va ascoltato fino all’ultimo giorno utile e anche dopo. E ha diritto a risposte precise e garanzie. E questi cittadini hanno il diritto di immaginarsi un futuro anche senza Ponte.

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