X
<
>

Giuseppe Falcomatà all'incendio del campo di Catona

Share
4 minuti per la lettura

RICORDO perfettamente il volto scuro e triste del sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà, un paio di settimane fa davanti al rogo del campo sportivo di Catona (LEGGI). Era scoraggiato: “Un sindaco dovrebbe dirvi che ripartiremo… ma che senso ha?”. Era una faccia vera, un dolore vero, un senso d’impotenza reale. Poi, martedì, scopriamo che Falcomatà è indagato (intendiamoci, solo indagato) per voto di scambio politico-mafioso (LEGGI). I fatti ci dicono che a non molta distanza dal campetto bruciato, cinque anni fa, Falcomatà incontrava Daniel Barillà, piccolo faccendiere, trafficante di voti buoni per qualunque partito e per qualunque elezione. Le carte dell’inchiesta (oltre tremila pagine solo tra richieste della Procura e ordinanza del Gip) ci dicono anche che Barillà è il genero del boss Domenico Araniti. Difficile (ma possibile) che Falcomatà non lo sapesse. Le carte (richieste del Pm) ci dicono che la sua consapevolezza del rischio che correva incontrando Barillà e parlando con lui di voti da cercare e raggranellare per vincere il ballottaggio, non è accertata. Le carte dicono anche che questa certezza è stata raggiunta nel caso di Giuseppe Neri (oggi consigliere regionale di Fdi) e Peppe Sera (Pd).

Dall’ordinanza del Gip Vincenzo Quaranta, dove il nome di Falcomatà non compare nell’elenco delle persone indagate, si evince un’altra cosa: tutti gli indagati sapevano chi era Barillà, ma non è certo che Barillà, nel procacciare voti, agisse in nome e per conto della cosca Araniti. Anzi, è più probabile che il faccendiere elettorale di Catona e Gallico, agisse in proprio e per proprio tornaconto. Per tutti questi motivi (anche se arrivando a conclusioni parzialmente diverse) la Procura non ha chiesto l’arresto di Falcomatà ma l’ha chiesto per Neri e Sera. E il Gip lo ha negato.

Chi conosce Barillà e i quartieri di Reggio Calabria da lui frequentati, non scioglie il nodo. Effettivamente, quella degli Araniti è una famiglia attiva e presente sul territorio, ma è davvero possibile che Barillà abbia fatto politica in quelle zone un po’ “facendo credere” e un po’ millantando credito sul suo ruolo reale nei confronti delle cosche. E che quindi la sua possa essere solo una parentela. Fatto sta che alcuni ricordano bene, quando il giovane Daniel cominciò a frequentare le sezioni del Pd oltre dieci anni fa. Il numero degli iscritti saliva in maniera vertiginosa (da 80 a 140 in poche settimane, si disse) e le persone per bene che, fino a quel momento avevano guidato le sezioni, si dimettevano e lasciavano il campo perché non volevano avere a che fare con certa gente. Ma è anche vero che tutto questo non sembra essersi chiaramente intrecciato con affari controllati dagli Araniti in quelle zone. Fermo restando che a Catona e Gallico, tanta gente per bene lavora per darsi un territorio e una vita migliori.

Insomma, cercando di riassumere. In cinque anni (invero un po’ troppi), l’inchiesta ha accertato che le cosche si muovevano sul territorio alla ricerca di buoni affari e che la politica (come troppo spesso accade) ha offerto quantomeno un fianco alle brame della ‘ndrangheta. Ed è pure assodato che qualcosa è passato da una parte all’altra e che il sindaco Giuseppe Falcomatà c’entra davvero poco. Tanto che, in sede di chiusura d’indagine, potrebbe non esserci per lui la richiesta di rinvio a giudizio, mentre Neri e Sera rischiano di più. Tutto questo accompagnato da qualche disguido di comunicazione. Nel primo comunicato stampa di martedì, i carabinieri dissero che tra gli indagati c’erano un consigliere comunale, un consigliere regionale e il sindaco di Reggio Calabria. La Procura (che, forse, non avrebbe neppure voluto rendere nota la presenza nell’indagine di Falcomatà) è stata costretta, per par condicio, a chiarire i nomi degli altri due. Difficilmente, comunque, dalla lettura delle carte si sarebbe potuto affermare che Falcomatà non c’entrava proprio nulla. Sperando di aver chiarito il quadro che ha mille altre sfaccettature, a partire dal ruolo di altri politici, come il senatore Bilardi (Fi), della massoneria e di certi affari sullo sfondo, vorrei tornare al punto iniziale.

Il sindaco Falcomatà davanti al campo bruciato di Catona, mi aveva emozionato. Lo dico davvero. A volte i politici devono mostrarci le loro vere e umane debolezze. La cosa ce li rende più vicini. Ecco, forse, sarebbe di nuovo opportuno che Falcomatà ci raccontasse fuori dai denti e col cuore in mano perché andava a parlare di voti con uno come Barillà, perché gli chiedeva di procurarglieli e cosa pensava di dargli in cambio. Una prima risposta è stata: «Era incensurato». Ma è chiaro che è del tutto insoddisfacente. Un’altra potrebbe essere: «Vacci tu a raccogliere voti a Catona e Gallico senza parlare con Barillà. E poi, se non ci vai tu, ci vanno gli altri. E se avessero vinto gli altri, sarebbe stato peggio per Reggio Calabria». Questo è abbastanza vero, ma non tiene conto di alcune cose: 1) non è obbligatorio sporcarsi le mani per vincere le elezioni; 2) si può anche perdere e denunciare i fatti; 3) se ci fossero dei partiti forti, farebbero loro le mediazioni e le scelte sul territorio e terrebbero lontani dal candidato sindaco certi figuri.

Detto questo, preferisco ancora il Falcomatà che racconta il suo dolore a Catona. E sarebbe bello (politicamente e umanamente) sentirgli spiegare il come e il perché di quegli incontri con Barillà.

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE